Tutti la snobbano, tutti la criticano, tutti la denigrano. Eppure scommetto che tutti avrebbero voluto stare al San Paolo con noi, pochi disgraziati, per quella che s’è rivelata una mega-rimonta a sorpresa.
A dir la verità, anche io l’ho presa sotto gamba. MAI, in una partita normale, sarei arrivata allo stadio di corsa, al fischio d’inizio, con le formazioni già chiamate. Che poi a dirla tutta ho anche, malignamente e irrispettosamente, pensato che quella formazione lì sarebbe stata meglio non sentirla. Su Donadel e Rosati e qualcun altro avrei fatto fatica a gridare tutto il mio consenso.
In tutti i casi, altrettanto MAI mi sarei sognata, come hanno fatto in molti, di starmene a casa, al calduccio, senza dover fare le corse per tornare da lavoro in tempo, con un piatto caldo che mi aspettava subito dopo e magari con le pantofole ai piedi e su un divano. Quando il Napoli è in casa, sono in casa anch’io. E cioè al San Paolo. E per fortuna la pensa come me un altro gruppetto di pazzi che, ovviamente, è sugli spalti già da due ore prima, come sempre, qualsiasi sia la partita. Un gruppo di folli che, quando chiamo per sentire che aria tira in famiglia, mi prende in giro millantando una difesa di posti con le unghie e con i denti.
Insomma. Tutti a casa per l’Europa League, nonostante i prezzi popolari. Poi lamentarsi di pagare una curva a 25 euro contro il Milan diventa quanto meno inopportuno.
Quando arriviamo, stanno appena togliendo dal campo il simbolo dell’Europa League e allora qualcuno ci fa notare che hanno chiesto di aspettare quei cinque minuti necessari a noi per salire le scale. Che nonostante stessimo ascoltando già la musichetta, quella meno famosa dell’anno scorso, ma pur sempre musichetta, lo steward maschietto ci ha impiegato una vita per controllare il mio faccione sulla tessera e la steward femminuccia altrettanto tempo per controllarmi la borsa. Tastandomi anche il retro del giubbino, che, purtroppo per lei, non presentava alcun cappuccio da svuotare.
Questo è stato il mio pre-partita. Inesistente come pochi, ma con l’ansia di non arrivare in tempo come pochissimi. E stiamo parlando di Napoli-Dnipro.
L’idea era quella di toglierci tre schiaffi da faccia e l’inizio pare essere in linea. Stranamente da seduti e con un clima da amichevole estiva, esultiamo per il primo goal. Cavani. Tanto per cambiare. Eppure qualcuno dice che non siamo una squadra Cavani-dipendente. E siamo solo al primo. Speriamo ce ne siano altri per mettere in sicurezza il risultato. Qualcuno, goliardicamente, dice di non passarla ad Aronica. Ma la verità è che per farli pareggiare non serve Totò, seppur in versione capitano. Abbiamo già Rosati a porta.
E allora diventa tutto in salita. Loro segnano su calcio piazzato. Contemporaneamente chi è dovuto restare a casa c’informa con un messaggio che il Pampa aveva appena detto che non ci segnavano più su calcio piazzato. Quando elimineranno il Pampa come commentatore potremmo finalmente aspirare seriamente allo scudetto.
Poi ancora di più in salita. Loro segnano il secondo. C’è chi s’incazza, chi la prende a ridere, chi incazzato dice non prenderla a ridere, chi ridendo dice a chi s’incazza che ha ironizzato anche lui. Chi vorrebbe Vargas fuori dai coglioni una volta e per tutte, chi vorrebbe Rosati fuori dalla porta il prima possibile, chi vorrebbe Donadel fuori dal campo prima di tutti. Chi impreca persino con Cavani perché sbaglia i passaggi più elementari, chi vorrebbe vedere dentro Hamsik e Insigne e viene subito accontentato. Chi vorrebbe vedere dentro al campo Pandev quando è in panchina. Chi vorrebbe vedere dentro al campo Pandev quando è in campo. Anche se capiamo che togliersi il pigiama e svegliarsi dal torpore in così poco tempo potrebbe essere considerato “chiedere troppo”.
Questo era più o meno il clima prima di quella punizione che ha cambiato partita, volti, umori ed esultanze. Su quella punizione qualcuno avrebbe voluto vedere applicata la regola del vantaggio. Salvo poi notare che la palla era sui piedi di Smaili e allora meglio tentare la punizione. Nonostante i nostri pochi goal su calcio piazzato. Mai speranza è stata più ripagata. Il pallone va dentro e noi esultiamo in maniera ancora dignitosa. Più sorpresi del gesto, tant’è che addirittura qualcuno ha osato pensare che sarebbe stato meglio “astiparl’ pe dummenic’!”. E siamo solo al secondo. Ma poi vediamo quel tocco di tacco di Insigne e ci illuminiamo. Il terzo va dentro e l’esultanza è un po’ meno dignitosa e un po’ più smodata. E siamo solamente al terzo. Intanto ci arriva voce del risultato del PSV. E all’improvviso da amichevole estiva diventa un ricordo di Napoli-Lazio. Appunto. Per completare l’opera dev’esserci il quarto goal. E allora l’alieno ci accontenta e si guadagna non solo il pallone, ma pure le bandierine, le porte e le panchine. L’esultanza qui è completamente folle con persone che, complici gli spalti vuoti, si sono ritrovate file più giù protesi verso Cavani che veniva a festeggiare la sua impresa. E finalmente siamo al quarto. E tutto questo perché non siamo Cavani-dipendenti.
Da questa partita ho imparato un po’ di cose: mai prendere appuntamenti di lavoro a meno di tre ore dalla partita; l’importanza delle partite in rimonta per ritrovare fiducia, al di là di ciò che veramente ti giochi; se non riesci a fare un pre-partita come si deve, rimedia nel post-partita con le persone giuste; vedere passare la fascia di capitano da Aronica a Dossena è un colpo al cuore; che i lavori che pretendeva la Uefa erano ritinteggiare due pareti e tre sotto-gradini; che non sedersi sulle scale è un concetto molto complicato e allora alla prossima il San Paolo potrebbe essere squalificato; che solo squalificando il campo riescono a tenerci a casa; che Vargas è un oggetto misterioso e Cavani un mistero della scienza.
E ringrazio pubblicamente tutti quelli che hanno deciso che non fosse importante venire al San Paolo. Che io lo so perché non resto a casa. E voi?