Le partite memorabili – Quando all’Olimpico ho assistito a Roma – Napoli 4-4

Vi racconto solo il momento dell’ultimo goal. Vale la pena di essere raccontato da solo, quasi come fosse l’unico di un risultato altisonante, e, viste le premesse fino all’inizio di quella partita, del tutto imprevisto.

Roma – Napoli di fine 2007. È  il Napoli da poco tornato in serie A. È il Napoli della scoperta Lavezzi, del talento giovanissimo di Hamsik, del ritrovato Zalayeta e di un “complesso di cose” che lascia ben sperare. Un po’ a sorpresa, quel Napoli già naviga in acque sicure, in una classifica dominata da un’Inter quasi imbattibile, dove solo la Roma può infastidire il cammino nerazzurro verso lo scudetto. Il Napoli della nuova gestione De Laurentiis arriva in una capitale fredda e inospitale, anche a causa degli organismi di sicurezza del calcio, che vietano la trasferta ai tifosi partenopei, a causa di potenziali intemperanze che potrebbero scaturire da una rivalità che grida vendette e ritorsioni. Le due tifoserie più calde d’Italia sono separate dai divieti e da un tardo sabato pomeriggio rigido e sospettoso.

Mi trovo in tribuna Tevere, grazie a un amico. Seduto sul posto che spacca a metà il settore, giusto in mezzo, in alto, a dominare con lo sguardo tutto il terreno di gioco, mi godo il pomeriggio in un Olimpico che dalla curva sud già intona cori antipartenopei, “Odio Napoli”, e avvisa i pochi napoletani presenti, sparsi un po’ qua un po’ là, che l’accesa rivalità non vedeva l’ora di far capolino da uno stadio storico, anche per gli azzurri. Un luogo dove regnano tanti ricordi.

Lo stadio si riempie poco a poco, e le zone vuote sono l’unico azzurro presente sugli spalti. Io sono circondato da romanisti. Per l’occasione, pure la tribuna si veste romanista e, all’ingresso delle squadre in campo, la folla canta la sua canzone, che dura fino al calcio d’inizio, prolungata fino alle prime giocate. Un minuto, e, nella sorpresa generale, Lavezzi fa uno a zero.

Ma torniamo all’ultimo goal.

Non è la Roma di Zeman, ma in qualche maniera è comunque una squadra spregiudicata, a tratti spericolata. Spalletti le fa giocare un calcio arioso e veloce, efficace e spettacolare. Ma quella sera lo spettacolo lo manda in scena pure il Napoli, quello incosciente e immaturo del Reja prudente, che, detto così, pare il titolo di un romanzo di inizio secolo.

Dopo il goal di Lavezzi, ne seguono altri sei. A pochi minuti dalla conclusione, la Roma è in vantaggio per quattro a tre.

Intorno a me hanno tutti tirato un sospiro di sollievo. I tre punti contro la nobile neopromossa sembrano al sicuro. Eppure, qualcosa preoccupa lo stadio. Il Napoli spinge alla ricerca del pareggio. Hamsik batte un calcio di punizione dal vertice destro dell’area di rigore, Zalayeta salta in alto, tanto in alto, schiaccia il pallone verso l’angolo opposto e De Rossi, nel disperato tentativo di salvare la porta, non può fare altro che toccare la palla quando è già dentro. Quattro a quattro, e l’ottava rete dell’incontro dice pareggio finale. Io mi guardo intorno con una gioia dentro che grida tutto il silenzio dello stadio.

Un tifoso romanista si alza e urla qualcosa contro Spalletti. Ce l’ha contro l’incapacità difensiva della Roma. “Oggi ne abbiamo presi quattro!”. Non importa averne fatti altrettanti. Il pareggio sa di delusione e di sconfitta. Il coro “Odio Napoli” non si sente più. Aveva ragione Pelè. “Il pareggio non esiste”.

 

Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka

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