Uno scanzonato, uno scomposto, che in tanti anni di Italia non ha imparato bene l’uso delle vocali e delle consonanti. Un maldestro commentatore di tante partite sulle più seguite emittenti. Forse, unico nel suo genere, pure nel suo balzante e grottesco dizionario pallonaro, reduce dalle più sgrammaticate edizioni, eppure, così appropriato nell’epoca del calcio che racconta partite cotte e mangiate e dimentica quelle che, a vederle dai repertori, paiono moviole poetiche e armoniose.
Le sue origini di centravanti che in carriera ha segnato più di 300 goal, affondano proprio nel Mundial del ’58, nella Coppa Rimet alla svedese, finita nelle giuste e mani di un Brasile d’altri tempi. Quello di Garrincha e di Pelè. C’era pure lui, in quella gloriosa spedizione. Josè Joao Altafini, attaccante di tanti goal, di campionati, di coppe dei campioni e di grandi partite. Sette degli anni della sua grande carriera, Josè li ha trascorsi nel Napoli, segnando più di 70 reti in 180 partite.
Carriera alla brasiliana, condita di una vita trascorsa a far parlare di sé dentro e fuori dal campo, nelle pagine “gossippare” dei rotocalchi e sulle prime colonne dei quotidiani sportivi. Josè Altafini, che sfuggiva ai difensori e tradiva le difese, e non solo le difese. Qualche volta pure i compagni di squadra, quando fece scandalo la sua “fuga” d’amore con la moglie di Paolo Barison, lo scandalo colorato di rosa che bene si sposava con la verve sudamericana di latin lover arditi e pericolosi. Abbinamenti da futbol, pure quelli. Altafini, cantante di due dischi, “Rosa” e “Dipingere”, fedele alla linea della Bossa brasiliana.
Altafini, tra i pochi ad aver giocato con le maglie di due nazionali, Brasile e Italia. Tra i pochi pure a segnare tanti goal quando la media non era altissima, quando le difese picchiavano con agguati marziali e interventi spericolati. Altafini, 14 goal in un’edizione della Coppa dei Campioni, quando a disposizione le partite erano poche.
Ma il Josè dai mille sorrisi, quello che le difese non le affrontava a viso aperto, ma con l’arte da scugnizzo di mondo, a Napoli è passato per pigliarsi un altro cuore, e non quello di una donna, ma quello di un’intera tifoseria. Arrivato alla Juve in “tarda età”, in una domenica del ’75, Josè entra a pochi minuti dalla fine di Juventus – Napoli, partita decisiva per la prima piazza, quella che una città intera sogna da decenni. Partita combattuta, 1 a 1 e un grande Napoli. Ma all’ultimo minuto, un Altafini mezzo dinoccolato, approfitta di un’uscita poco sicura di Carmignani beffando Napoli e popolo. 2 a 1 per la Juve e scudetto bianconero.
Pochi giorni dopo quella partita, su una parete dello stadio San Paolo compare una scritta. Dice “Josè core ‘ngrato”. Da allora, per la Napoli del pallone, Altafini si chiamerà così, Core ‘ngrato. I divi del calcio non amano, vogliono soltanto essere amati.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka