Che non si dica che quando c’è da sostenere e sognare, i tifosi azzurri non sostengono e sognano.
E allora la Primavera cerca una finale che non arriva da 16 anni. E noi siamo lì a sognarla con loro. E puntualmente il sogno si è avverato. Ma solo per fare spazio ad un altro che si chiama Coppa Italia. Contro la Juventus. Tanto per cambiare.
Arriviamo ad Aversa abbastanza presto, il tempo di un panino in un supermercato che aspettava noi e qualche altro tifoso azzurro per chiudere. Ci viene difficile pensare che ci sia ancora qualcuno che concede lo spacco pranzo ai propri dipendenti. E allora il cassiere è impaziente e noi forse troppo flemmatici. Consumiamo il nostro pasto in auto, in attesa degli altri. Si, gli altri. Perché quella che era stata lanciata lì come una semplice proposta innocente, è diventata un vero appuntamento infrasettimanale, assetati di spalti, di calcio giocato dal vivo, di azzurro da vedere vincere. E allora, compriamo i biglietti al botteghino esterno ed entriamo. Già qui, la mia felicità è indescrivibile. Entro senza subire umilianti perquisizioni di borsa, tasche, cappuccio, mutande. Ecco finalmente dove posso portare tutte le bombe a mano che conservo a casa.
Le squadre sono già in campo per il riscaldamento e noi possiamo sceglierci il posto migliore, centrale, prima che arrivino gli altri. Si, gli altri. Perché la proposta innocente che avevo fatto ai miei amici di curva, in realtà era un vero appuntamento infrasettimanale di parecchie altre persone, compresi i gruppi organizzati delle curve. Con tanto di bandiere, sciarpe, vessilli e fumogeni. Perché questi ultimi siano rossi, proprio contro la Roma, non è dato sapere. Ma ce lo chiediamo in molti.
Il nostro pre-partita di Napoli-Roma della Primavera è molto simile al nostro pre-partita di Napoli-Roma della prima squadra. In quell’occasione una caduta all’indietro aveva provocato due costole rotte. In quest’occasione una caduta all’indietro ha provocato un taglio alla testa. Stavolta il malcapitato non è uno dei nostri, ma uno con qualche anno in più, pare ex sindaco di Aversa. Stesso scarso tempismo anche nell’intervento. Con l’unica differenza che al San Paolo almeno due paramedici sugli spalti ci sono, qui invece dobbiamo sparare fuochi artificiali per catturare l’attenzione di qualcuno, ringraziare un giocatore della Roma che ci aiuta a chiamare dei medici, qualsiasi, attendere al telefono un quarto d’ora per parlare col 118, perdere un altro quarto d’ora per spiegare la strada per lo stadio e finalmente, dopo quattro pacchetti di fazzoletti per bloccare la fuoriuscita di sangue, invano, arrivano i medici del Napoli a mettere ghiaccio e tenere meglio la ferita. Poco prima del fischio d’inizio arriva anche l’ambulanza, con tanto di barella ad accompagnare il poveretto a mettere qualche punto di sutura. Chiaramente la battuta è dietro l’angolo e c’è qualcuno che lo invita a dare almeno tre punti al Napoli che così si raggiunge la Juve.
Già, la Juve. Chissà che non sia stata proprio la possibilità di beccare la Juve in finale a far arrivare tutta quella gente lì. Sta di fatto che quando si mette il risultato in cassaforte già nel primo tempo con due bei goal, Novothny e il capitano Insigne, si pensa già alla data della finale, ci si chiede se sia andata e ritorno o finale secca, si sente al telefono un amico di Torino, entusiasta del risultato, che però dice che allo Juventus Stadium proprio non ci vuole entrare.
Ma non ci pensiamo. Ora voglio dare soddisfazione a questi ragazzi, tutto cuore, polmoni ed entusiasmo. Noi eravamo lì sugli spalti come fanno i padri coi figli. Col sorriso e sempre pronti ad incoraggiare. Sperando in una bella partita, ma soprattutto nel farli uscire dal campo mai delusi. Protestiamo con l’arbitro quando caccia troppi cartellini, ma pronti a non aizzare i ragazzi tra di loro. E in questo Roberto Insigne sembra già essere un passo avanti. Intoniamo cori; indichiamo il tempo mancante a chi dal campo, tra un passaggio filtrante e un contropiede, ce lo chiede più di una volta; applaudiamo; apprezziamo i bei gesti e minimizziamo gli errori. La sensazione era di essere lì come tifosi, sì, ma come padri tifosi dei propri figli.
E la soddisfazione ce la prendiamo anche noi quando gli azzurri raggiungono la finale e vengono a darci la nostra razione di “grazie”. Indossano una maglia celebrativa, la lanciano sugli spalti, si abbracciano e festeggiano col mister.
Insomma, sono felici. E noi per loro. Proprio come i padri con i propri figli.