“Sono una calciatrice atleticamente dotata di velocità e resistenza che fa dell’aspetto fisico il suo punto di forza e uso abbastanza bene entrambi i piedi. Mi è sempre piaciuto far gol, fin da piccola, più che da punta esterna sono sempre stata impiegata come esterna di centrocampo, ma ho sempre avuto un buon feeling con la porta. Il calciatore nel quale più mi rispecchio è Sanchez, lo dichiarai anche qualche settimana fa, nel corso di un’intervista, nella quale mi fu sottoposta proprio questa domanda e, ironia del destino, proprio in questi giorni ho appreso la notizia riportata sulle pagine de “Il corriere dello sport” che dichiara che il Napoli lo sta inseguendo. Quando ero più giovane ero più egoista, poi, maturando esperienza ho sviluppato maggiore altruismo sottoporta.“
Queste sono le parole che Penelope Riboldi sceglie per presentare la calciatrice Penelope Riboldi a chi, ignaro del suo prodigioso talento, si imbatte nella sua storia intrisa di passione e lacrime, per la prima volta.
Rapida e potente, dotata di una sopraffina tecnica, in campo, ha tra le sue caratteristiche migliori quella dell’inserimento che sovente, con disarmante semplicità, la proietta in un impari uno contro uno col portiere avversario che, nella maggior parte dei casi, nulla può contro la sua fame di gol.
Armigera spietata in campo, cordiale e garbata ragazza fuori dal rettangolo verde.
La storia di Penelope a Napoli è iniziata in maniera assai simile a quella della figura della mitologia greca che porta il suo stesso nome: anche lei, come la moglie di Ulisse, è stata chiamata a praticare l’arte della lungimirante pazienza pur di non tradire il suo amore che, nel caso della nostra eroina moderna, si chiama “calcio“.
La Penelope di Ulisse simboleggia bellezza, regalità, fedeltà e astuzia.
Caratteristiche che la pugnace Riboldi incarna in maniera più che consona, dentro e fuori dal campo.
La tela della “nostra” Penelope, non è composta da fili, ma da fisioterapia ed allenamento differenziato, contornato da sudore misto a lacrime, intrise di dolore e rabbia, perché il baluardo da superare per ritornare ad abbracciare il suo amore è assai ostico e si chiama “infortunio“.
Ed è la stessa Riboldi a raccontare il suo calvario: “Ovviamente l’ho vissuta male, come tutti gli sportivi che incorrono in gravi infortuni, quale può essere la rottura del legamento crociato. Non mi ero mai fatta male prima, non mi ero mai imbattuta neanche in un blando infortunio recuperabile nell’arco di 10-15 giorni, come ad esempio una contrattura, ho sempre giocato, senza mai fermarmi e devo dire che ho “festeggiato” il mio primo infortunio facendomi male per bene!
Sono rammaricata perché sono venuta a Napoli alla ricerca di nuovi stimoli, ho scelto di venire via dal Tavagnacco per vivere una nuova esperienza ed ero molto carica e motivata, ma, purtroppo, non sono riuscita neanche ad iniziare il Campionato, era appena la seconda partita di Coppa Italia quando mi sono infortunata, ho praticamente saltato una stagione, fa male, ma 5 mesi sono un buon tempo di recupero, considerando la mole dell’infortunio che ho subito ed è merito dello staff medico che mi ha seguito che ha lavorato egregiamente e non posso che essergli riconoscente per questo.
Spero che il Mister mi dia la possibilità di giocare il più possibile, per recuperare il maggior numero di minuti nelle gambe, sono molto motivata e ho una gran voglia di far bene.”
Adesso che sei ritornata in rosa, ti trovi al cospetto di due compagne di reparto che vivono un momento encomiabile: come vivi la competizione/ confronto con loro?
“Nel calcio è giusto che sia così e che si debba sudare per conquistare la maglia da titolare. Magari se non mi fossi infortunata, non avrei giocato comunque, perché il Mister avrebbe preferito schierare le mie compagne di reparto, piuttosto che me. In questo sport, ti confermi e ti riconfermi impegnandoti negli allenamenti e inscenando prestazioni convincenti in campo. Devi sempre dimostrare il tuo valore per guadagnarti un posto in squadra. In particolare, la mia conterranea, Valentina Gicinti, sta vivendo un momento molto positivo, è cresciuta moltissimo durante questo Campionato, soprattutto perché ha avuto la possibilità di giocare con continuità, questo l’ha aiutata ad emergere, è giovanissima ed è un’attaccante con grandi prospettive, ha già segnato tantissimi gol e poteva farne molti di più, ma sono certa che, maturando, con gli anni, migliorerà in maniera esponenziale. Sono contentissima per lei. Per quanto riguarda me, sono sicura che, se farò il mio dovere, troverò spazio in squadra. Sono venuta a Napoli per fare la differenza e spero di poterla fare nelle ultime partite che mancano da qui alla fine del Campionato ed anche in Coppa Italia, poiché siamo ancora in corsa anche su quel fronte.”
A te e alle altre ragazze del Napoli Carpisa Yamamay va riconosciuto il merito di essere riuscite a preservare la vostra femminilità, nonostante pratichiate uno sport maschile. In che modo si conciliano questi due aspetti?
“E’ un aspetto di questa squadra che ho notato fin da subito anche io, conosco bene l’ambiente della Serie A, poiché gioco in questa categoria da quasi 10 anni ormai e devo dire che, contrariamente a quanto si rileva in altre piazze, le calciatrici del Napoli sono tutte molto belle e femminili. Credo che sia un meccanismo indotto, nel senso che, se giochi a calcio fin da piccola, è difficile preservare il 100% della femminilità, una piccola percentuale la perdi, di certo non siamo come Belen! Ma ci teniamo comunque a far emergere la nostra femminilità, alle serate e agli eventi ai quali prendiamo parte, ci piace curare il nostro aspetto e spesso accade che le persone che ci incontrano fanno effettivamente fatica a credere che siamo delle calciatrici, questo dimostra che riusciamo a preservare una fisicità apprezzabile. In campo, però, siamo una squadra che picchia duro! Anzi, penso che siamo una delle squadre più aggressive e toste, attacchiamo le avversarie e non tiriamo mai la gamba indietro.”
Oltre al calcio, quali sono le tue passioni?
“La musica, amo ballare, soprattutto il latino-americano, a Bergamo andavo a ballare più spesso, qui un pò meno. Mi piace andare a cavallo, cavalco da quando avevo 12 anni ed, infatti, quanto prima mi metterò alla ricerca di un maneggio nei pressi di Napoli. D’estate, mi diletto anche ad andare in bici su strada, per il mio compleanno, l’estate scorsa, mi hanno regalato una bici e l’ho utilizzata spesso per concedermi gradevoli pedalate contornate da ammirevoli paesaggi.”
Scegli i 3 aggettivi che ti rispecchiano meglio:
“Ottimista, romantica e dolce e un pò permalosa.”
Quali sono i pro e i contro con i quali si relaziona una bergamasca che veste la maglia del Napoli?
“In verità, sono una bergamasca “atipica”, i miei genitori gestiscono delle giostre, quindi sono nata e cresciuta tra i camper e a contatto con la gente. A Napoli mi sono integrata benissimo, mi sono trovata bene fin da subito, poiché la gente ha personalità e calore molto simili a quelli che hanno contraddistinto il clima nel quale sono cresciuta. I contro sono che, quando giochiamo al Nord, siamo molto bersagliate. Purtroppo, è inutile negarlo, il razzismo nel calcio esiste eccome. Però c’è anche l’altra faccia della medaglia: in casa nostra e sottolineo “nostra”, non abbiamo mai perso, non solo per l’impagabile sostegno del pubblico, ma anche per il forte attaccamento che le ragazze nutrono verso la maglia che indossano, nonché per la loro terra.
Abbiamo messo in difficoltà tutte le squadre che abbiamo affrontato al Collana, basta pensare alla partita disputata contro la capolista Torres: il Napoli sembrava la squadra in testa alla classifica, noi ci siamo mangiate le mani per com’è finita, non loro, perché il pareggio stava stretto a noi.”
Cosa vuoi dire ai tifosi/ lettori che tardano a venire al Collana per assistere alle vostre partite?
“A differenza del calcio maschile che, con le Calcioscommesse e le altre vicende di poco onore emerse negli ultimi anni, si è sporcato con situazioni che con l’essenza di questo sport non hanno nulla da spartire, nel calcio femminile la passione è al primo posto, non alziamo mai la voce, in campo si vede l’amore che nutriamo verso questo sport, così come la nostra voglia di giocare, non per interesse, ma per passione. Chi non ha mai visto una nostra partita, potrebbe scoprire che è un’esperienza appassionante.“
A Penelope Riboldi, cresciuta tra le giostre e, pertanto, avvezza a misurarsi con emozioni altalenanti, possiamo solo augurare che, nel suo destino, d’ora in avanti, sia disegnata la parabola ascendente di una sfavillante montagna russa, protesa verso l’infinito, utile a condurla sempre più in alto.
Luciana Esposito
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