Il cannoniere azzurro dalle polveri bagnate, l’uomo gol che ha smarrito la via, il bomber distratto dalle vicissitudini private, il goleador triste. Quante definizioni per Edinson Cavani, quante parole sprecate a dimostrare che l’asso uruguaiano abbia un blocco che lo allontana in maniera determinante dalla via della porta, tenendolo all’asciutto da ciò di cui è divenuto il simbolo di una squadra rampante, dal futuro roseo come lo è il Napoli, quel gol divenuto muto, zittito dalle occasioni sprecate, oscurato da un’astinenza divenuta un caso nazionale, quasi fosse necessario scomodare la Cia. Ma come tutte le critiche asfissianti che la pubblica opinione moderna è abituata a mettere su piazza, torchiando lo sventurato di turno fino ad invaderne la privacy, toccando aspetti puramente personali, il caso Cavani ha messo in ombra tutto ciò che ruota intorno al matador, compreso i compagni di squadra che ne compongono un reparto, e non solo gli attaccanti, ma anche coloro i quali il gol potrebbero innescarlo.
Sembra quasi sia scomparso dal tabellino il macedone Goran Pandev, mai davvero goleador nella sua carriera, ma pur sempre la miccia che innesca la bomba, colui che è stato definito più volte la spalla ideale di Cavani, ma che ultimamente non riesce ad essere nemmeno la clavicola di ciò che servirebbe per supportare Edinson. Sfortuna vuole che anche le occasioni latitano, dai suoi piedi passano sempre meno palloni, anche perché ingarbugliato in trame di manovra non propriamente adatte al suo gioco, votato alla libertà di movimenti dietro la prima punta, con la possibilità di portare via l’uomo ed aprire gli spazi agli inserimenti di qualcuno dalle retrovie.
E quel qualcuno dovrebbe chiamarsi Marek Hamsik, per carità, non che si vogliano da lui i gol che sblocchino la classifica azzurra, ma un tempo (abbastanza recente) Marekiaro ci stupiva con lampi di genio, tiri al fulmicotone, giocate da campioncino in erba frutto di lungimirante capacità della società partenopea. Oggi Hamsik è impelagato nel tam tam della zona centrale del campo, un “dammi e dai” che alla lunga lo ha portato lontano dall’essere l’uomo in più, quello che non t’aspetti, il risolutore.
Già, il risolutore, altro aggettivo che sarebbe dovuto appartenere al redivivo Lorenzo Insigne, trottolino napoletano dalla giocata facile, ma anch’egli ingolfato, forse dalla poca fiducia riconosciutagli, forse figlia di una inconcludenza che allontana l’estro di questo ragazzo dalla possibilità di esplodere definitivamente ed in maniera decisiva. Troppe ombre alle spalle di un ragazzo le cui capacità sono indiscusse, ma che per sciorinare come si conviene per rendere il diamante grezzo un gioiello prezioso, avrebbe bisogno di continuità, condita anche da qualche concessione in più, magari ad essere più egoista sotto porta e a tentare la giocata che, prima o poi, dovrà pur venire.
Non pervenuto e lontano da colpe il cavallo di ritorno a cui tutti vogliono bene, quel Emanuele Calaiò a cui non è imputabile alcuna colpa, se non quella di non essersi fatto trovare pronto nell’unica occasione, nella notte di Plizen , da dimenticare sia per lui che per i tifosi azzurri. Nel pentolone dei non pervenuti mettiamoci pure gli esterni Maggio e Zuniga, corsari delle fasce un tempo, puledri rampanti delle corsie laterali, oggi travestiti da terzini di spinta, autori di gare senza infamia e senza lode, lontane un miglio dalle brillanti apparizioni di qualche mese fa, quando, a turno, erano decisivi anche in fase realizzativa, capaci di inventare temi d’attacco prontamente finalizzati. Sia ben chiaro, che Cavani non faccia gol da troppo tempo sembra strano a tutti, ma che non sia l’unico ad avere in mano le chiavi della svolta è altrettanto palese, per cui, riflettori puntati su tutti, non solo sul matador.