Ci sono momenti in cui sprecare aggettivi è estremamente facile, attimi in cui le gesta lasciano parlare attributi superlativi, accostamenti da fenomeno, soprannomi che proiettano l’uomo investito dal successo in un emisfero che appartiene ad una categoria superiore, l’impero del sole, l’olimpo degli dei, il pianeta dei supereroi. Ed è così che un’atleta esemplare, un ragazzo pulito fuori dal campo, determinato e spietato nel rettangolo di gioco, sveste i panni della consuetudine per vestire quelli dell’imprevedibilità, divenendo colui che con pochi giri di campo ed un po’ di stretching è in grado di entrare in campo e trasformarsi nella macchina letale che ognuno vorrebbe nelle proprie fila. Il prototipo del calciatore perfetto, del trascinatore senza macchia, del goleador implacabile, inarrivabile ed intaccabile nemmeno quando i “gossippari” di turno cercano di spremere dalla sua vita privata l’uva aspra della vergogna, dello scandalo, cancellando le chiacchiere sul suo conto con un sorriso e tanta indifferenza da rendere addirittura ridicole le illazioni messe in piazza.
Lui, che con due gol d’autore è stato in grado di annullare le tante ore di volo ed un fuso orario che avrebbe steso un mulo, Lui che si riprende la gara dopo averla messa, per una sua leggerezza in area di rigore, su di un binario morto, che egli stesso riabilita grazie ad una manovra di interscambio che nemmeno il miglior macchinista di stazione sarebbe stato in grado di attuare. Indiscutibile generoso, inafferrabile professionista del gol, oltre a mettere due sigilli ad una gara improvvisamente sbandata da sciagurate sviste difensive, invece di avvilire i compagni con atteggiamenti nevrotici e insofferenti, mette piede in campo, dà esempio di sangue freddo e concentrazione, mette in scena una lezione emotiva da prendere da esempio per dimostrare a chi ha necessità di apprendere cosa vuol dire essere l’uomo decisivo nel calcio moderno. Senza retorica e dietrologia, cercando di allontanarci quanto più è possibile da elogi fin troppo generosi, diremo di oggi che la gara contro i granata ha dato l’ennesima dimostrazione che il Napoli si chiama Cavani, questa squadra ha trovato l’immagine di se, il volto della rivalsa sulle ingiustizie, il condottiero di battaglie ai limiti del possibile, il leader incontrastato che innalza la bandiera di una città che vuole emergere ed essere vincente, a cominciare dal calcio, vincolo di espressione in chiave moderna con la quale è possibile coltivare una speranza, la speranza di essere migliori e costruire un sogno. Il Signor Edinson Cavani è stato in grado di divenire lo specchio in cui il napoletano riflette il suo status, lo spirito del campione che si sacrifica, lotta soffre e resta in piedi, l’eroe dai nervi saldi, lo straniero in terra straniera divenuta sua patria, il luogo in cui c’è più di qualcuno che continua a dirgli grazie perché aiuta a vivere anche solo una serata migliore, regalando qualche ora di felicità prima di ripiombare nel torpore quotidiano, nelle difficoltà e nelle amarezze del vivere. E’ proprio lui, matador Cavani, l’uomo dei sogni.