Raccontare Emi Yamamoto, centrocampista di origine giapponese, approdata all’ombra del Vesuvio lo scorso dicembre per rinforzare l’organico del Napoli Carpisa Yamamay, sarebbe un compito ostico anche per il più avvezzo e smaliziato dei narratori.
57 reti siglate in 10 anni di campionato giapponese, 3 anni negli Usa scanditi da 30 gol in 43 partite, il 22 dicembre 2012, l’esordio con la maglia azzurra nel Campionato di Serie A di calcio femminile, nel quale ha segnato 6 gol in 14 partite e collezionato prestazioni encomiabili utili a consentirle di conquistare il premio “Le ali della vittoria” che la incorona migliore calciatrice del Campionato.
Questi sono i numeri che raccontano la sua carriera, ma, in realtà non incarnano né rispecchiano pienamente il prodigioso talento e la sopraffina tecnica di cui Emi si avvale.
Solo chi ha visto giocare almeno una volta la Yamamoto può comprendere il disagio che si prova nel ritrovarsi nello scomodo ruolo di descrivere quel portento di classe, precisione e congenita inclinazione verso la pratica dell’ “arte” del calcio, a chi non la conosce.
E’ il medesimo imbarazzo che pervade chi si avventura nell’improbabile tentativo di esplicare il mare ad un cieco.
Impossibile trovare parole sufficienti e consone ad immortalarne le infinite, molteplici sfumature, così come la formidabile e disarmante grandezza.
Non mastica molto bene l’italiano Emi, ciò nonostante accetta di lasciarsi intervistare, supportata dalle sue compagne di squadra Alessandra Barreca e Caterina Kensbock che si sono cordialmente proposte come interpreti.
Parla in inglese, ma neanche quella è la sua lingua, quindi sovente si perde in una nuvola di vocaboli alla ricerca del termine più appropriato dea utilizzare per dare corpo ai suoi pensieri.
Tuttavia, mentre parla, la sua gestualità, la disadorna ed essenziale cordialità che traspare dalla sua mimica facciale e, ancora di più, quello che esprimono i suoi occhi, risultano assai più eloquenti rispetto a quello che può essere delimitato e racchiuso in semplici e banali parole.
Emi Yamamoto, fenomenale interprete del calcio moderno all’interno del rettangolo verde, fuori dal campo, invece, si fa portatrice sana di un messaggio semplice, banale, forse, per molti, ma del quale, presi dallo stress e dalla frenesia dell’era di internet e dell’I-phone, tendiamo a dimenticarci: la parola non è l’unico mezzo del quale disponiamo per comunicare ed interagire con il prossimo, è, senza dubbio, lo strumento più semplice, ma non il più “vero“.
Emi parla un linguaggio universale, comprensibile solo a chi non ha consentito alla virtualità piuttosto che all’agghiacciante distacco che spesso predomina i rapporti umani, di inaridire la propria anima.
Fuori dal campo, la sua peculiare ironia, intrisa dell’acuta e lungimirante arte del prendersi poco sul serio, fa la linguaccia ai 31 anni compiuti dalla giapponese lo scorso 9 marzo.
Scherzando, a microfoni spenti, Barreca dice: “E’ la Balotelli del calcio femminile!”
Ed Emi prontamente imita l’esultanza modello “incredibile Hulk” di SuperMario e si lascia scappare perfino qualche parola in dialetto napoletano.
La sinergia che la Yamamoto è stata in grado di creare con le sue compagne di squadra, avvalendosi di una lingua parlata non sua, dimostra quanto è eloquente la sua capacità di linguaggio non verbale e quanto autentici e precipui siano i frammenti di quel mondo che vive racchiuso dentro lei e che si scorgono attraverso i suoi occhi.
Ecco la videointervista realizzata ad Emi Yamamoto, “talento puro e vero“, dentro e fuori dal campo:
Ringrazio pubblicamente per l’amichevole collaborazione Alessandra Barreca e Caterina Kensbock, interpreti impagabili che hanno conferito all’intervista un valore aggiunto inestimabile in termini di cordialità e simpatia.
Luciana Esposito
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