Un brivido lungo la schiena, seguito dall’avvicinarsi di una musichetta svanita, a quanto pare, solo per poco. Questa però non è l’escalation della paura verso un epilogo drammatico, ma soltanto l’inevitabile concretizzarsi di una gioia tinta di azzurro, che emerge con forza sollecitata da coloro che non ti aspetti; da interpreti fautori di una numerologia tanto bestiale quanto preziosa. Il rettangolo verde del destino calcistico inverte i cliché, sveste il rosso e il nero della sua diabolicità e la manipola per far sì che venga trasmessa attraverso un colore puro, inusuale per i suoi canoni, ma che ben si adatta allo sfavillio dei tre araldi designati. Nel momento decisivo, ecco che si manifestano i tre diavoli azzurri in tutta la loro imperiosità. E per le residue speranze di sconfiggerli, non resta altro che terra bruciata.
La linea della possessione corre lungo l’asse Svizzera-Macedonia, esplorando così un tragitto nuovo, quasi a dimostrare che non ci sono barriere che tengano se il perseguimento dell’obiettivo finale necessita di quel pizzico di influsso esoterico affinché il dispendio di energie sia totale. Gli effetti più evidenti di questo processo hanno raggiunto il loro apice nella tappa di Pescara, con i tre prescelti in grado di sintonizzare il proprio score realizzativo al fine di porre una seria ipoteca sul traguardo europeo prefissato in tempi non sospetti. Un evento carico di entusiasmo e meraviglia, soprattutto nei confronti delle statistiche dei due centrocampisti elvetici, storicamente non molto avvezzi alla finalizzazione. E ciò, a conti fatti, potrebbe convincere chi diffida ancora dalla trascendentale premessa iniziale.
Tuttavia, a poche giornate dalla conclusione del campionato l’inaspettato messaggio dei tre demoni armati di scarpini rischia di mutare, poiché Inler, Pandev e Dzemaili non appaiono paghi del già determinante contributo offerto durante la fase chiave della stagione. Ad ogni modo, il significato trasversale consegnato agli almanacchi non verrà cancellato, dando agli appassionati il ricordo di un’analisi sportiva in cui il diavolo non è poi tanto brutto. Specialmente se, a fin di bene, viene dipinto di azzurro.
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