Fanno il giro di campo, gli azzurri: applaudono la loro gente, e la loro gente li applaude, «oj vita, oj vita mia», si salta e
si balla, per carità; ma se è vero che il cuore è pieno di gioia, è anche vero che il cuore è rivolto al futuro e il futuro è incomprensibile. Non ci nascondiamo dietro a un dito: il calcio moderno è profondamente progettuale, e lo dimostrano squadre come il Borussia Dortmund, il Bayern, il Manchester United, lo stesso Barcellona. Si vince alla fine di una lunga strada, cambiando pochi tasselli su un’intelaiatura stabile e collaudata. Servono uomini chiave che si facciano carico del progetto, che lo indirizzino, che lo gestiscano. Gli staff si formano un po’ alla volta e alla fine l’intesa, la reciproca conoscenza e la capacità di comprendersi a volo compensano le inevitabili carenze tecniche o i cali di forma.
Il tifoso queste cose le sa bene, capisce di calcio, lo vede, lo ama e lo conosce. Il tifoso sa che Mazzarri e Cavani pesano molto più di se stessi, nella costruzione del progetto: e che la possibile (probabile?) defezione di questi due condottieri inficia irrimediabilmente il progetto tecnico, proprio quando si ha la forte, netta sensazione che si sia arrivati al momento giusto, quello in cui si concorre per i Massimi Obiettivi. Si dirà che l’anno scorso sono andati via Lavezzi e Gargano, che sembravano insostituibili; che l’anno precedente si aveva deciso di fare a meno di Quagliarella, un campione amatissimo e tanto atteso. Ma sappiamo bene che questi calciatori, pur indiscutibilmente dotati e grandi beniamini del San Paolo, non erano mai stati davvero inseriti nell’intelaiatura del gioco azzurro, fornendo cuore e classe ma anche tanto disordine. Il caso di Cavani è diverso: un finalizzatore, un costruttore, un difensore in caso di necessità, il sentimento, la disciplina, la forza e la disponibilità costante al sacrificio.
E Mazzarri? Mazzarri significa la motivazione, il coraggio, il mettere la faccia e il petto di fronte alle critiche preservando la squadra. E non solo: Mazzarri significa anche uno staff tecnico, medico e atletico che ha consentito, eliminando quasi completamente gli infortuni muscolari dalla stagione, di supplire all’evidente carenza tecnica di un organico pieno di buchi. Ma non è la difficoltà di sostituire questi uomini, che fa male al tifoso mentre, senza voce e con la testa leggera, va via dal San Paolo. I calciatori, gli allenatori, i presidenti passano, e la maglia e il colore del cuore restano per sempre; abbiamo visto andar via il più Grande Calciatore del Mondo, e siamo rimasti. Rimarremo anche stavolta.
Il tifoso si chiede, con dolore e tristezza, cosa manchi a questa squadra per essere considerata un punto d’arrivo, e non uno step di crescita per una carriera luminosa. Evidentemente non basta, commenta il tifoso, essere secondi in un campionato terribilmente difficile come quello italiano; essere entrati in Champions dalla porta principale, senza dover giocare i preliminari; essere l’unica squadra, senza suddivisioni o derby, della terza città italiana; avere cinque milioni di abbonati alla televisione satellitare in Italia e sette nel mondo, oltre a sei milioni di innamorati, sparsi in ogni continente; non basta, visto che appena in possesso di qualche offerta si chiede di andar via. Il tifoso si chiede che cos’altro accidenti si debba fare, per vincere qui.
FONTE: Maurizio De Giovanni per Il Mattino