Oggi le bandiere tricolore sventoleranno in tutte le piazze italiane, è atipico in questi periodi. Non sono stati anticipati i campionati mondiali di calcio, è il centocinquantesimo compleanno di mamma “Talia”. Oggi si festeggia l’Unità d’Italia, quel processo risorgimentale che ha dato la spinta politica-culturale alla riunificazione delle popolazioni italiane in un unico Stato.
Il tema dell’Unità fa discutere, perché il nostro idem sentire è un valore che spesso è messo in discussione. Le sfaccettature linguistiche-culturali dei diversi dialetti e tradizioni popolari persiste perpendicolarmente nelle diverse regioni. “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”, così celebrava la famosa citazione di D’Azeglio nel neonato parlamento italiano a Torino. Possiamo affermare con certezza che il mezzo attraverso il quale si è diffusa “l’italianità” è stato il calcio.
E’ proprio il pallone ad essere il miglior amico degli italiani, un amico di vecchia data che ha saputo rafforzare i legami con una società non sempre disposta comprendere le proprie diversità. Se Garibaldi, Cavour e Mazzini furono i padri fondatori “politici” della nostra nazione, senza dubbio Meazza, Rivera e Baggio sono stati i campioni che hanno rafforzato in epoche diverse la nostra consapevolezza italica. Si ci è commossi per la tragedia di Superga e si ci è esaltati per i quattro titoli mondiali vinti. Gioia e dolore, sacrificio e speculazione, la più fedele riproduzione dell’unvierso umano.
E’ proprio il calcio che ha plasmato con un valore del tutto genuino il concetto di patria, da sempre prestato a ovvie dipartite ideologiche. Il Calcio è sopravvissuto, fin da quando ha messo “piede” nella nostra penisola, ad ogni cambiamento. Si è rinnovato, ma si è rafforzato nella sua tradizione di valore da condividere. Al giuoco del calcio non si è mai fatto travolgere nei diversi aspetti istituzionali del paese. Il Calcio c’è stato a prescindere di quanto la storia ci ha raccontato nel corso nel novecento: Stato monarchico, Stato totalitario e Repubblica, per il calcio non ha fatto differenza. Il gioco più bello del mondo ha ceduto il passo solo alle due guerre mondiali. Il calcio ha prestato la sua forza di collante sociale a chi lo ha saputo cavalcare. Riscopriamo il fascino del nostro inno nazionale esclusivamente in occasione delle partite della nazionale, altrimenti “l’epica sinfonia di Mameli” rischierebbe di essere accantonata come una filastrocca popolare. Grazie a quei undici giovanotti che corrono dietro ad una sfera in un rettangolo erboso, noi scopriamo il gusto di essere italiani. Questo non dobbiamo dimenticarlo!
Alessandro D’Auria