L’idea di un’esperienza in Premier l’affascina immediatamente. E così, nonostante la freschissima accoppiata scudetto-Europa League e un rinnovo di contratto con la cifra in bianco o quasi, nell’estate del 2004 Rafa Benitez lascia il Valencia e la sua Spagna per trasferirsi a Liverpool. Su quella panchina dove sino al giorno prima c‘era stato Houllier, il francese che nel 2001, in nome dello stress da calcio, ci stava lasciando anche la pelle per un infarto che l’aveva colto nell‘intervallo della partita contro il Leeds. Giocava col 4-4-2 e se occorreva osare un po‘ di piu col 4-3-3, Gerard Houllier. E Benitez quando arriva all’Anfield non fa rivoluzioni. Non stravolge le abitudini tattiche della sua nuova squadra. A seconda di chi ha a disposizione e dell’avversario che ha di fronte, infatti, usa entrambi i moduli del suo predecessore. Ai quali, però, di tanto in tanto aggiunge anche un più accorto e abbottonato 4-5-1.
Finisce al quinto posto in campionato il primo Liverpool di don Rafael, che, però, fa il botto in Champions al primo tentativo, come ricorda bene il Milan di quell‘anno: avanti di tre gol a fine primo tempo, raggiunto nel secondo e superato poi ai rigori. A Istanbul, in quella finale, Benitez porta in campo un 4-1-4-1 con Xabi Alonso davanti alla difesa e Harry Kewell che quando può molla Gerrard in mezzo al campo e s’avvicina a Milan Baros punta solitaria. E non cambia neppure l‘anno dopo, il signor Benitez. Il quale, forte com’é nell’interpretazione della fase difensiva, saltellando tra i soliti disegni, a fine stagione porta a casa altri due trofei: la coppa d‘Inghilterra e lo scudo d‘argento della Community Shield, un superscudo che é l‘equivalente della nostra Supercoppa.
E il famoso 4-2-3-1? Comincia a prender forma solo nella stagione 2006-2007. Ma si vede solo a sprazzi. Ovvero, quando spezzando la monotonia di quel 4-4-1-1 che l’accompagna malamente nella notte della rivincita del Milan in Champions League – ad Atene, infatti, due anni dopo, la Vittoria-vendetta rossonera per 2-1 – i centrocampisti esterni (spesso Pennant e Zenden) lasciano davanti alla difesa Alonso e Mascherano e affiancano, larghi, Steven Gerrard che disegna geometrie alle spalle della punta che é quasi sempre l‘olandese Kuyt che ora é al Fenerbahce.
Insomma, non proprio inconsapevole ma quasi quel primordiale 4-2-3-1. A questo modulo, infatti, mister Rafa comincia a pensare con molto più interesse solo l’anno dopo. Stagione 2007-2008. Otto dicembre 2007, per la precisione. Il Liverpool gioca a Reading, nella contea del Berkshire e per la prima volta mette due mediani fissi (Gerrard e Sissoko) davanti alla difesa. In realtà il modulo é un 4-2-1-3 con Torres prima punta, ma quando gli attaccanti larghi – Peter Crouch e l’ucraino Andriy Voronin – fanno un passo indietro? Comunque sia, il battesimo dei due mediani davanti alla difesa a Benitez non porta affatto bene. Perde 3-1, infatti, don Rafael e questo lo convince a non riprovarci. Quindi, marcia indietro e viva il solito 4-4-2.
Pure l’anno dopo, quando alla fine sfiora lo scudetto della Premier finendo secondo dietro lo United (suo miglior piazzamento in campionato), Benitez mischia e rimischia i suoi modelli. Tant’é che in 38 match mette la squadra 15 volte in campo col 4-4-2; altrettante volte col 4-5-1; due col 4-3-3; una, incredibile ma vero con la difesa a tre: 3-4-2-1 vincendo pure fuori casa e 5 volte con quel 4-2-1-3 che comincia a rileggere e modificare. Infatti, la stagione successiva, l’ultima della sua avventura a Liverpool, s’apre finalmente col 4-2-3-1. Battesimo ufficiale del nuovo sistema, l’esordio in Champions League contro il Debreceni. E‘ il 16 settembre del 2009 e contro gli ungheresi il signor Rafa scrive un capitolo nuovo della sua storia di premiato allenatore. E vince pure il suo Liverpool: 1-0 e gol di Kuyt. Gli piace quel nuovo disegno. Tant’é che lo trasferisce immediatamente in Premier e gioca così per 14 volte nelle prime 20 gare. Poi, però, a meta stagione frena. La squadra fa fatica e cambia. Torna al suo caro -4-5-1 e più raramente al 4-4-2. Alla fine: settimo posto e addio Inghilterra.
FONTE: Corriere dello Sport