Addio Cavani: Gli addii fanno sempre male. Che siano forzati, voluti o pattuiti, non ha importanza. Dire addio a qualcosa o qualcuno che è stato “turbina” di felicità e di gioia, non è facile. Non lo è mai stato.
E se questi “addii”, avvengono nell’ambito calcistico e in una città come Napoli, il distacco diviene ancora più amaro e straziante.
Molti grandi giocatori sono passati per questa piazza. Qualcuno ci è capitato per caso, mentre qualcun altro ci è voluto venire di sua iniziativa, affascinato dalla terra, dai progetti targati De Laurentiis e dall’amore spasmodico dei tifosi. Ma a prescindere dal movente, tutti i campioni che hanno potuto “assaporare”, per breve o lungo tempo, il “clima calcistico” napoletano, sono rimasti colpiti e meravigliati della profonda passione con la quale si “vive il pallone”.
I giocatori diventano figli, e come tale vanno bacchettati ma, sempre e comunque, incondizionatamente amati e sorretti. Si diventa parte di una famiglia grande, grandissima, unita dall’amore e dalla fame di vittoria, di crescita e di affermazione. Tutti devono dare il meglio di sè. Perchè la “famiglia” si deve rispettare ed onorare sempre e comunque.
Esatto… sempre e comunque.
Ecco perchè gli addii diventano difficili da metabolizzare, piaghe del cuore insanabili. Perchè a Napoli è sempre un “do ut des”. Si dà amore per ricevere amore. Un amore a cui è difficile poi rinunciarvi. Da ambo le parti, tifosi e calciatore.
E diviene spontaneo, se non dovuto, per chi è pronto con la valigia in mano, dare l’ultimo saluto al Vesuvio, alla squadra, ai tifosi, alla famiglia. Parole impregnate di dolore, malinconia ma anche da tanto orgoglio, per essere stato a Napoli, per aver contribuito al “salto di qualità” ed aver reso piccoli desideri concreti e piccoli o grandi sogni reali.
Come quel piccolo scugnizzo che Napoli ha cresciuto, coccolandolo, viziandolo e perdonandogli troppo. Ma che possiamo farci, la sua fantasia, tecnica e spettacolarità che metteva in campo, obbligava tutti a perdonargli di tutto. Le parole che il Pocho ha destinato a Napoli, prima di indossare la maglia del PSG, erano vere, sentite, commoventi, dettate da una necessità di gridare a tutti quanto Napoli entri nel cuore e quanto rimanga lì per sempre. Un addio che già tutti avevano immaginato da quello sfogo di pianto dopo aver conquistato la tanto ambita Coppa Italia.
Parole che hanno fatto male, quanto le parole non dette da Cavani.
Andato via in silenzio. Senza salutare i tifosi. Senza ringraziare una terra che l’ha restituito alla vita. Che l’ha raccolto, timido e insicuro da Palermo e l’ha fatto campione. Idolatrato e onorato da tutti. Mai messo in discussione, anche quando i periodi di digiuno dai goal, duravano troppo e sembravano non finire mai.
Non ci si aspettava una lettera strappalacrime alla Pocho, ma forse i tifosi, mai parchi di elogi ed encomi verso un fuoriclasse come il Matador, meritavano almeno un “GRACIAS”.
Non bastano poche parole di covenienza dette durante una conferenza stampa, come risposta alla domanda di un giornalista. Non era questo che tutti ci aspettavamo.
E forse è questo che fa male. Che fa più male della consapevolezza di aver perso un campione.
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Alina De Stefano