Napoli argentini / Quante volte. Quanti nomi, quante storie, quanti volti. Per ogni calciatore proveniente dalla terra del fuoco si potrebbe costruire una formazione intera, compreso la panchina ed oltre. E’ una storia d’amore lunga un secolo, almeno quanto lo è la vita del club di De Laurentiis. Il destino ha voluto che napoletani e argentini fossero fratelli calcistici sanguigni, desiderosi di intraprendere assieme le avventure sportive in qualsiasi epoca, nella buona e nella cattiva sorte. Senza voler scomodare l’epoca dei nostri antenati, per intenderci l’era del grande Omar Sivori, pezzo importante del mosaico partenopeo, seppur abbiano visto nelle schiera delle formazioni di quegli anni calciatori argentini, molti dei quali oriundi, vestire i colori azzurri, ci piace non allontanarci troppo con la storia, e guardare semplicemente gli ultimi trent’anni di vita in cui l’Argentina ha occupato il cuore e la mente dei supporters azzurri, artefici e colpevoli delle notti insonni di milioni di napoletani, abituati a sognare quando i grandi nomi si affacciano al cospetto della società partenopea.
Potremmo cominciare con Daniel Bertoni, ambidestro dalle ottime capacità balistiche, arrivato a Napoli nell’84, dove resterà per due anni in coppia con il suo connazionale, colui che fa da capostipite alla lunga legione argentina della storia azzurra, Diego Armando Maradona, di cui potremmo anche non parlarne, talmente ovvia la sua grandezza, a cui si deve il rinomato amore per l’Argentina ed i suoi figli. Dopo l’avvento del messia del calcio, Roberto Fabian Ayala, nel ’95 al ’98, ha avuto il pregio di essere il primo argentino dell’era maradoniana, forse l’unico, visto che in maglia azzurra è stato un modesto interprete, senza infamia e senza lode. Difensore centrale, conquistò anche la fascia di capitano più per blasone natìo che per meriti sportivi, nazionale argentino, lascerà gli azzurri nella sua fase di maturazione, che diede i suoi frutti altrove e non in casa azzurra. Cinque anni dopo un suo pari ruolo, Facundo Quiroga, darà solo un assaggio di se, destando ottime impressioni, subito soffocate dalla mancanza di liquidità e dalla suo relativo quanto irrinunciabile ritorno allo Sporting Lisbona, proprietario del suo cartellino. Nello stesso anno si videro le gesta (molto modeste, a dire il vero) del “picapietra” Claudio Husain, mediano di rottura e abile manovratore, almeno sul curriculum, poiché a Napoli non lo dimostrò affatto. Dopo aver sborsato la clamorosa cifra di 9 miliardi e rotti, venne mandato in prestito al River Plate che lo restituì dopo qualche mese, senza nemmeno accennare ad un probabile interesse d’acquisto. Fece qualche apparizione con il Napoli in Serie B, ma l’impronta del calciatore tanto osannato fu presto abbandonata del tutto.
Nel 2001 si affacciò a Napoli Mauricio Pineda, che gentilmente l’Udinese prestò agli azzurri, descrivendolo come difensore esterno, abile nei cross e ottimo in fase ripiego. Le 22 presenze in azzurro furono altalenanti, ma non si può dire di certo che se la società avesse avuto il danaro avrebbe fatto carte false pur di acquistarlo. Altra storia invece per Luciano Galletti, che nel Gennaio 2000 il Napoli si fece “girare” in prestito dal Parma degli “amici” Tanzi. Poche presenze, 11, 2 reti, ma il pubblico se ne innamorò a tal punto da chiedere di fare un sacrificio pur di strapparlo al Parma. Nulla da fare, i biancoscudati lo rimandarono addirittura in patria, all’Estudiantes, dove attualmente è in lotta per tornare sui campo di calcio dopo un delicato trapianto di reni.
Faremmo volentieri a meno di parlare di alcune “meteore” che hanno vestito, chi per un anno, chi solo per poche ore, la gloriosa maglia del Napoli, ma per dovere di cronaca e amor del vero, siamo costretti a riportare, non ce ne vogliano gli scaramantici. Forse la più amara delusione tra gli acquisti azzurri è stata Jose Luis Calderon, arrivato a Napoli con tanto fragore nel ’97 per 7,5 miliardi delle vecchie lire, rimpiante fino all’ultimo centesimo. Prima e dopo l’esperienza napoletana è riuscito a segnare più di duecento reti nelle squadre in cui ha militato, in maglia azzurra non ne ha azzeccato una, fermandosi a 6 presenze senza alcuna rete. La successiva cessione fruttò alla società solamente 2 miliardi di lire, perdendoci quindi anche in termini economici.
Riportiamo anche le due presenze dell’attaccante Gabriel Bordi, arrivato nella stagione ’99 dagli argentini degli All Boys (seconda divisione argentina) con un bottino di 22 reti all’attivo , di cui si ricorda davvero poco o nulla, e l’unica apparizione in prima squadra, per poi essere silurato seduta stante, del difensore Esteban Lopez, arrivato in prestito dall’Udinese pe riscattarsi, rivelatosi disastroso e palesemente disadattato in un calcio in cui è necessaria una preparazione fisica anzitutto. Ci si ricorda di lui per la famigerata gara dell’Arechi di Salerno, dove gli azzurri le buscarono dalla Salernitana di Zeman per 3-1 grazie anche e soprattutto all’imbarazzante prestazione di Lopez, che regalò addirittura un assist a Bellotto per chiudere definitamente i conti della gara e di una prestazione da “4” in pagella. E’ rimasto negli annali calcistici un evento in quella gara che probabilmente non si è mai ripetuto nella storia di una partita in ambito professionistico; il difensore argentino fu in grado di sbagliare tre rimesse laterali, concedendo il cambio palla all’avversario. Passi per la gara negativa, chiudiamo un occhio per il clamoroso passaggio all’attaccante granata, ma la rimessa laterale non ha alcuna necessità di talento particolare, diamine!
Negli ultimi anni si è rispolverata un po’ di gloria grazie a Robeto “Pampa” Sosa, che è riuscito a dare il meglio di sé nonostante arrivasse con un’età avanzata ed una carriera già piena di soddisfazioni. E’ riuscito a realizzare l’invidiabile bottino di 28 reti in 116 presenze, onorandosi addirittura di indossare la maglia che fu di Diego, la magica “10″ in occasione della sua ultima partita in azzurro. German Denis, invece, ha avuto la sfortuna di non avere la fiducia giusta per essere confermato in maglia azzurra, a causa anche di una certa inadattabilità alla panchina ed ai dualismi con Quagliarella. Le sue 13 reti basteranno a far rimpiangere qualcuno di averlo ceduto troppo in fretta all’Udinese, ripreso poi dall’Atalanta del Ds Marino, suo “figlioccio”, avendolo pescato personalmente dall‘Independiente, e divenuto una sua “creatura”. Jesus Datolo (nel 2009-’10 proveniente dal Boca Juniors) e Jose Sosa (2010-’11 proveniente dal Bayern di Monaco) hanno avuto in comune il fatto di essere stati solamente di passaggio in casa azzurra, alternandosi con i titolari dalla panchina, e fornendo prestazioni non sempre all’altezza. Entrambi “marcheranno il territorio” con una rete, testimonianza tangibile della loro permanenza non propriamente “da argentini”.
Nel 2008 gli azzurri hanno annoverato anche un portiere argentino, Nicolas Navarro, che sembrava sul punto di esplodere, per tornare poi con i piedi per terra e lasciando definitivamente il posto al buon vecchio Gennaro Iezzo, che gli cedette il posto a causa di un grave infortunio. Tuttavia, se di gesta bisogna parlare, dell’estremo difensore argentino venivano ricordate maggiormente quelle del gossip, più che quelle calcistiche (si ricordano, infatti, le sue scorribande notturne in cui, spesso, veniva convolto anche il “pocho” Lavezzi) fattore che spinse la società a decidere di rispedirlo in patria, prima al River e poi all’Argentinos Junior.
Meriterebbe un capitolo a parte Ezequiel Lavezzi, a cui gli si deve l’unica attenuante di essere stato la “moneta di scambio” di un era votata al “vil danaro“, che lo ha esposto alle grinfie degli sceicchi padroni di Parigi, che dopo di lui hanno “derubato” Napoli anche del matador Cavani. Il pocho ha marcato a modo suo un’epoca, con modi di esprimersi da leader incontrastato, beniamino già lo era di una tifoseria che rispecchiava in lui le movenze del pibe, è stato uno dei calciatori a cui il popolo azzurro avrebbe posto un veto per la cessione. Immarcabile a tratti, talvolta sgusciante e geniale, ha raccolto meno di quello che avrebbe meritato, figlio di un epoca di rilancio, senza grosse pretese, ma lui era di certo un potenziale campione. Le 38 reti in maglia azzurra resteranno negli occhi dei napoletani come le orme più somiglianti a quelle del funambolo argentino che ha fatto storia.
Possiamo infine concludere con il “toro” Hugo Campagnaro, appena approdato all’Inter, gran bel difensore, tutto grinta e rapidità, abile cursore ed ottimo anche in copertura, ha lasciato la società che avrebbe forse dovuto riflettere meglio prima di lasciarlo alla mercè di Moratti, cui ne trarrà sicuramente beneficio. In ultimo, ancora presente nell’organico azzurro, Federico Fernandez, il difensore centrale del futuro, l’eterno dilemma partenopeo, titolare nella nazionale maggiore argentina, relegato in tribuna nella sua squadra di club, anche se la scorsa stagione, in prestito al Getafe, ha dimostrato di poter competere con i ruvidi e preparati difensori italiani. Staremo a vedere…
In un quadro complessivo rinvigorito dal Grande Diego e dalle sue gesta calcistiche che hanno alimentato la storia di un Napoli vincente, l’avvento di Gonzalo Higuain è d’uopo per sognare di poter rispolverare il trono e metterci a sedere il degno erede capace di sventolare il vessillo azzurro nel mondo, assieme con la bandiera argentina, immancabile, così come è onnipresente allo Stadio San Paolo in ogni occasione, simbolo di una squadra che avrà sempre l’animo argentino riflesso nel proprio istinto, nella propria indole. In fondo, “todos somos un poco argentinos …”