Con quelle spalle così, può reggere ogni peso. Sollevare le critiche e ribaltarle. Fosse stato debole si sarebbe già piegato in due. Quel cognome è un macigno: Cannavaro. Scritto così ma poi pronunciato anche a sillabe mondiali. Can-na-va-ro il pallone d’oro, il pilastro della nazionale, quello dell’Inter, della Juve e pure del Real Madrid: tutto insomma. Poteva rimanere il fratello di Fabio e basta. Vivere in un cono d’ombra. Starsene alla Loggetta e affacciarsi sul San Paolo. Far la sua carriera, mettere via qualche soldo, spassarsela. E invece è cresciuto, s’è fatto grande. E da solo. Ha difeso portieri e orgoglio. Paoluccio è diventato presto Paolo. Ha dovuto. Lui è il capitano del Napoli, un riferimento, l’anima di uno spogliatoio ormai globalizzato eppure ancora scugnizzo. È lui quello che a parametro zero scelse la B ai soldi e la gloria subito.
LA STORIA – Otto anni di Napoli e tutta la vita: prima e anche dopo. L’azzurro sempre. Da quella volta che papà Pasquale lo portò mano a mano allo stadio. “Questa è la squadra della tua città, questi sono i tuoi colori. Ti faranno felice ma anche arrabbiare”. Saggio, papà. Parlava al tifoso bambino che sarebbe diventato capitano. Da lì la passione, il sogno realizzato, ormai una missione. Doppia: scudetto e Champions. Cannavaro il difensore su cui puoi contare. Titolare se lo merita. Sennò lì a giocarsi il posto. Alla pari. Con la consapevolezza che è il campo che fa la formazione. E non il mercato, non le pagelle d’agosto: forzatamente premature, condizionate, inevitabilmente da riaggiornare a quando le gambe saranno più forti, il fiato duraturo e magari anche la testa più serena. Quel giorno in cui con la società avrà discusso del suo contratto. E le cifre, le clausole e gli anni che passeranno, saranno lì a rafforzare un rapporto già lungo 232 presenze. Cominciò tutto un pomeriggio al Bentegodi contro il Verona. Aveva 17 anni. Storia d’ogni estate, e anche questa. Col mercato che sembra cancellare la memoria. Annullare le gerarchie, ridefinirle. Ancor più stavolta che la concorrenza nel ruolo è aumentata e il centravanti che ha marcato ha fatto gol. E allora, è attacco. Le pagelle sembrano la cronaca del gol di Giraud. Girano intorno, strattonano, abbattono, tirano e fanno male. Così male che Cannavaro ha reagito impulsivamente. Scrivendo sui social anzichè aspettando il campo, la partita successiva. Perchè stanco, stufo, amareggiato. “E ora basta, sempre a me. Davvero non capisco”. È rimasto a Londra per sbollire la rabbia. Il tackle di Cannavaro. L’entrata a scivoloni che ha preso la palla e un po’ tutto quello che gli è capitato. Un intervento da cartellino azzurro. Sempre lui, ancora lui. Un’altra partita da vincere contro la diffidenza e un momento difficile. Nuovo allenatore, sistema di gioco diverso, una preparazione atletica innovativa e tanti compagni da conoscere. Tutto differente, insomma. O forse no. Perchè le critiche restano. Ma pure lui. Che non ha intenzione di andare via, nessuna: anche se dalla Russia più di qualche sondaggio c’è stato, e in Spagna, e soprattutto Inghilterra, qualche club si è informato.
FUTURO – Due anni ancora di contratto, il prossimo con una clausola che vincola l’ingaggio al numero delle presenze. Eppure Cannavaro non molla. La fascia, la maglia da titolare, il ruolo nello spogliatoio: si tiene tutto stretto. E se Giraud gli è scappato, c’è tutta la preparazione ancora per aggrapparsi al suo Napoli. E non perderlo. Cannavaro l’uomo ancor prima che il giocatore. Forse sorride meno, di sicuro lavora duro come sempre. Raul Albiol è un concorrente ma anche uno stimolo ulteriore. Mondiale. E poi c’è il modulo che lo motiva. Quella difesa a quattro che non è per lui una novità. Ci giocava con Prandelli a Parma. Ne conosce i meccanismi, i movimenti. Ora deve solo aggiornarli. Farli suoi. Questione di tempo e di condizione. Per il resto c’è già tutto. Attaccamento, orgoglio da capitano e spalle grosse. Dategli una maglia e solleverà i dubbi.
Fonte: Il Corriere dello Sport