Arrivano come lo scirocco le ventate mediatiche che raccontano della Napoli ai ferri corti. È anche vero che questa città non smette di cercarsele, affollata da questa nuova manovalanza delle facili tentazioni criminali ispirata, forse, a una musa del delitto appena uscita dal cinema, e formatasi davanti alle dimostrazioni di forza della televisione votata alla sottile celebrazione del mondo criminale.
Pura retorica, disgustosa e fuori luogo. Bando alla sociologia, ai programmi di recupero, alle rassicurazioni politiche e al buon senso. Retorica pure questa. Come sarebbe retorico fermarsi di sera a guardarla, questa città che ormai non si capisce se sia mai cambiata oppure l’illusionismo di fondo è che sia sempre la stessa.
Tutto una densa e nauseabonda brodaglia, retorica, messa a raffreddare a ogni angolo delle strade, dei vicoli, che poi sono retorici pure quelli. È il labirinto del Minotauro questa Napoli sottoposta alle violazioni e alla forzature, incastrata nella cronaca delle rapine, messa a soqquadro nei momenti in cui si crede che agosto la svuoti, sottosopra e rovistata dalla destrezza di ladruncoli e di delinquenti continuamente giustificati. E pensare, e questo è quanto di più grave potesse accadere, proprio loro hanno messo al bando lo spirito d’emergenza del delitto finalizzato alla sopravvivenza. Non esiste più, è un alibi che non vale più. È retorico pure quello.
Il tempo ha armato gli scugnizzi, ma soprattutto li ha disarmati degli spiccioli di umanità che una volta suonavano per le strade e per i vicoli della polis maleducata. Oggi, è solo isteria della brutalità. Non serve più pensare che le televisioni e i giornali lo facciano di proposito, che denuncino la Napoli delinquenziale perché esiste soltanto quella, perché così va raccontata e così deve passare agli occhi dell’opinione media. È retorica anche quella. Non vale più perché anche l’azione estrema, anche la gestualità dell’esasperazione sono finalizzate al decadimento, alla linea guida di un orizzonte innaturale che fa da sfondo alla metropoli.
Napoli è uno sbarco quotidiano, e ci si sente retorici ogni volta che ci si capita dentro con altre predisposizioni, con un animo che sia diverso dal solito clichè diviso tra il visto turistico e il pregiudizio, senza la faccia appesa della misura faccendiera delle cose, senza la vecchia e sempre pronta rassegnazione e il brontolio incupito in quattro chiacchiere. È diventato retorico lasciare a casa pure il campionario dei luoghi comuni, pure la buona volontà di disfarsene, di non usarlo più, di voler giustificare qualunque cosa. Diventa patetica pure l’intelligenza, ammesso che ne sia rimasta, retorica pure quella.
Magari, qualche volta, a disposizione dei ladruncoli di nuova generazione, di questi delinquenti che si sono iscritti pure loro al registro delle cose retoriche, si potrebbe mettere in bella vista borse e portafogli pieni degli artifici che riempiono la città, che svicolano appresso ai passanti e ai turisti, che dentro le tasche hanno preparato facili bottini ricolmi proprio di quella, di patetica retorica. Che svuotino scrigni di luoghi comuni, specchiandosi dentro, godendosi fino in fondo la moneta inutile di una città in prestito alla religione della scorribanda.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka