C’era una volta I’Italia nel pallone che spadroneggiava nei campi di calcio europei, dal mar Baltico fino al Mediterraneo. Il ranking Uefa e le pessime prestazione di questi ultimi due anni, ad eccezione dell’Inter capace di vincere la coppa dalle grandi orecchie la scorsa stagione, smentisce il mito del veni, vidi e vici dei club italiani nel ventennio ’80-‘90.
L’Italia scivola al quarto posto dietro la Germania, perdendo così un posto nelle competizioni europee. Nello specifico, dalla prossima stagione, nel nostro campionato, si qualificheranno direttamente alla Champions League solo le prime due, mentre la terza classificata accederà ai preliminari. Inoltre la quarta classificata e la vincente della Coppa Italia accederanno ai play-off di Europa League e la quinta partirà dal terzo turno preliminare.
Se diamo uno sguardo ai coefficienti stagionali la situazione è critica. Per quanto riguarda le nazionali, l’Italia è addirittura quinta dietro a Inghilterra, Spagna, Portogallo e Germania. A livello di club la situazione è peggiore, perché la prima squadra italiana è l’Inter piazzata al quindicesimo posto dietro lo Shaktar (sorprendentemente settimo in classifica!), Benfica, Braga e Valencia. Il Milan e Roma sono appaiate al ventiduesimo e ventitreesimo posto, il Napoli è quarantasettesimo. È pensare che proprio i rossoneri nel biennio 2005-2007 erano stati in testa a questa particolare classifica.
Questo dato deve far riflettere un po’ a tutto il sistema calcio: dai presidenti agli allenatori dei pulcini. I correttivi apportati dai fair play finanziario non possono essere la panacea dei mali del pallone italiano. Bisogna agire dalle fondamenta, lanciare nuove promesse, ed in particolare se si vuole una crescita di tutto il circuito deve essere garantita la possibilità di migliorare dai propri errori. Questo declassamento deve essere visto come lo strumento su cui puntare il rilancio, e non l’avvilente consapevolezza che i tempi andati sono stati i più dolci ricordi del futuro prossimo. Anche la carta stampata è chiamata a collaborare, de ve essere più attenta ad un critica “sportivamente” corretta che al pettegolezzo di quartiere o alla polemica moviolistica.
Alessandro D’Auria