La vittoria del cinismo e della cattiveria. Del cuore e del sacrificio. Della fortuna e di Calvarese. Addirittura, tramite intercessione celeste, di San Gennaro. Il day after ribattezza in tutte le salse il successo del Napoli a Firenze, con elogi e punzecchiate a seconda del mittente. Il dato inequivocabile è la pesantezza dei punti conquistati. Roma e Juventus tenute sulla corda, creata una crepa evidente con le inseguitrici. In una giornata, la decima, decisamente insidiosa e con la fisionomia di un prematuro spartiacque.
Vittoria di platino su un campo ostico e contro una diretta concorrente. Di quelle che, tra i cespugli delle solite imperfezioni, lascia intravedere il salto di qualità all’orizzonte. Imperfezioni, esatto. Quelle che caratterizzano il brutto anatroccolo, nella sua totalità. Almeno nei più banali clichè. E’ sempre lo splendido cigno ad essere preferito, la sua ineluttabile perfezione. Invece difetti e virtù si intersecano, si amalgamano. E i valori assoluti sfumano. L’anatroccolo Napoli ha insegnato al “Franchi” come sbarazzarsi del sopravvalutato cigno.
Il candido e puro volatile è la Viola di Montella, bella, insipida e dannata. Una piece teatrale senza epilogo, una sinfonia apparentemente perfetta eppure priva di acuti. Il Napoli è parso volerle cedere il palcoscenico, ammirarla nell’esibizione e poi rapirle il pubblico tra una danza e l’altra.
Non solo l’avversario, ma anche castigatore di sè stesso. La squadra di Benitez ha dimostrato finora di amare palleggi e ricami, pagando a volte a caro prezzo (Roma docet) la mancanza di concretezza. Bene, ieri il cigno azzurro ha lasciato la scena al suo sgraziato alter ego. Dominato a lungo (ma schiacciato solo nel finale), poco reattivo e con una manovra mai così impantanata. Parente stretto di quello in gita premio a Londra. Nel grigiore generale e senza segni di ripresa, due bagliori primaverili che riscaldano i cuori partenopei. Due perle di rara bellezza raccolte in un terreno paludoso ed ostile. Il confine tra brutto e bello è infinitamente sottile, effimero. Solo gli uomini veri possono saltellare da una sponda all’altra senza rischiare di sprofondare.
In una serata a tinte fosche non è solo il cinismo ad uscirne da protagonista. Solidità e compattezza sono attributi determinanti. La fase difensiva, sotto accusa nelle prime giornate, sta evidenziando notevoli progressi. Dalla gara con l’Arsenal solo quattro reti subite, tre delle quali su calcio da fermo. E per una squadra la cui trazione anteriore causava affanni in copertura è un tassello interessante. Ieri senza Zuniga e Britos, con Behrami e Inler spesso costretti a sdoppiarsi, è stato lodevole lo spirito di abnegazione e sacrificio degli esterni, nonchè la perfetta (diciamo ammirevole) disposizione tattica. I viola hanno accumulato il 70% del possesso palla ma le vere minacce sono giunte solo con soluzioni dalla distanza. Un lavoro certosino e faticoso, ma i frutti si sono visti eccome.
Badate, il Napoli poco propositivo e un po’ “all’italiana” visto ieri non si respira a pieni polmoni. Anzi. Imporre il gioco e far valere il proprio tasso tecnico è assolutamente la strada da privilegiare, come sta avvenendo d’altronde. Ma in serate come quella fiorentina la priorità è aggiudicarsi la posta in palio. Strapparla con le unghie e con i denti è un segnale forte. Verso sè stessi e verso gli altri. Un segnale da vincenti. In fondo Don Rafè in Inghilterra non ha sempre brillato per lo spettacolo espresso, ma per la capacità di trovare assetto e quadratura del cerchio. E ora a brillare sono i trofei in bacheca. Non mi sembra il caso di essere esteti ad ogni costo, vi pare?
Ivan De Vita
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