Il presidente del tribunale di Napoli Carlo Alemi ne è convinto. «Non possono bastare le decisioni del giudice sportivo che si limita ad applicare le norme. Contro quello che si vede e si sente negli stadi ogni domenica contro i tifosi napoletani bisogna fare molto di più». Un salto di qualità nella lotta al razzismo e alla discriminazione territoriale. Presidente, da dove partire? «Ci sono le telecamere negli stadi, puntate ovunque. Chi sono i capi delle Curve che danno il via ai cori? Le forze dell’ordine li prendano e non abbiano troppi riguardi: sono una specie di capi-popolo, gli altri sono gente che in molti casi è debole e tenta di emularli. O nel peggiore dei casi è costretta a seguirli anche un po’ per paura». I cori contro il Napoli e i napoletani sono diventati insopportabili? «Sì, perché sono continui e provengono anche da tifoserie che una volta neppure lontanamente si sognavano di avere un atteggiamento così rancoroso nei confronti dei tifosi azzurri e della nostra città. E poi sono gratuiti: anche quando il Napoli gioca altrove, loro si lasciano andare in questi cori deplorevoli». Una volta non era così. «Una volta andavi a giocare a Verona o a Bergamo e sapevi come ti avrebbero accolto. Faceva parte dei riti di quegli anni. Con gli altri, con tutti gli altri, c’era rivalità, tanta, ma non sfogava mai in questo genere di reazioni».
Le piace il concetto di discriminazione territoriale? «Il punto è un altro: non bisogna pensare solo di intervenire dopo. Tutti noi dovremmo chiederci: ma prima cosa abbiamo fatto per educare chi va allo stadio? Come si fa a far capire al tifoso che bisogna solo fare il tifo a favore della propria squadra del cuore e mai contro?» Già, come si fa? «L’ho detto. Magari c’è chi pensa che si tratti si sfottò, e fino ad adesso ha ridimensionato certi episodi: ma non c’è nulla da ridere. Razzismo non è solo gli odiosi buu contro i giocatori neri». Da parte di molti, però, traspare la preoccupazione che sparute frange di tifosi possano ricattare le società facendo leva sui danni economici. Lei che ne pensa? «Il rischio c’è. Ma anche i club possono collaborare di più. Conoscono i nomi degli ultrà che hanno in mano le curva. Se vogliono, possono spezzare il filo che li tiene legati. Anche se per fortuna sempre di meno». In Juventus-Napoli è scesa in campo una vera task force di ispettori federali. Esagerato? «Un po’ sì. A me certe esasperazioni non sono mai piaciute. Non amo le militarizzazioni: gli stadi non devono diventare come le città dove dominano i clan e che occorre controllare metro dopo metro. Per questo dico: meglio educare i tifosi». Quando le curve, anche di tifoserie rivali, si sono unite per combattere le norme anti-discriminazione cosa ha pensato? «Che il tifo c’entra ma fino a un certo punto: ci sono alleanze che vanno al di là di quello che avviene sui campi di gioco. La cosa deve far riflettere. Nonostante tutto, alle curve non sono bastate le nuove, più addolcite, norme sulla discriminazione territoriale. Rivendicano la libertà di insultare, in nome dello sfottò da stadio. Non c’è più nulla di ridere. Nessun coro può passare inosservato. Il Giudice Sportivo vada avanti così e non si fermi per niente al mondo. Magari qualche tifoseria a furia di non vedere più partite allo stadio ma solo in tv imparerà la lezione»
FONTE Il Mattino