Un minuto. Scarso. Un tiraccio, una carambola, un fantomatico guardalinee. Tutto in un lampo. Tutto frantumato. L’ottimismo latente prima della gara, quella voglia matta di vedere il nuovo Napoli spagnolo al cospetto della Juventus. Il sentore che era l’anno giusto per scuotere il suo dominio.
Un minuto. Scarso. Crepe profonde nei nostri sogni di cristallo. Fantasmi del passato riaffiorano inesorabili. “Questa partita non è mai iniziata!”, ho urlato a chi sedeva accanto a me, con la presunzione di chi conosce i suoi amati polli. Perché una gara così sentita, in quello stadio e contro un avversario affamato per antonomasia, si prepara nei minimi dettagli. Un gol subito all’alba stravolge ogni possibile disegno.
Un minuto. Scarso. Dopo il quale entrano in scena il carattere e la personalità, da sempre e in ogni campo trasversali a qualsiasi piano prestabilito. Attutire il colpo e riprendere i sensi, pronti per una salita ripida e ghiacciata. Si aveva la sensazione che proprio dal punto di vista della consapevolezza si erano fatti dei passi avanti, ne parlavamo entusiasti solo una settimana fa dopo la vittoria sul Marsiglia. Solo fumo? Le grandi sfide, specialmente in trasferta, restano ancora un tabù. Arsenal, Roma, Londra. Tre indizi costituiscono irrimediabilmente una prova.
Un minuto. 1-0. Già cascate di chiacchiere, su un approccio da schiaffi e su quei 21 centimetri che fanno la differenza. E continueranno a farla durante il match. Basterebbero alle conclusioni di Higuain, Inisgne ed Hamsik per essere qui a raccontare un’altra storia. Una storia scritta, invece, da Pirlo e Pogba, ma sempre grazie ad un pugno di sabbia. Questione di virgole, di punteggi. Il risultato, ciò che conta nel calcio italiano, ha agevolato la tessitura di lodi ai vincitori, lanciando epiteti da cataclismi naturali o personaggi epici. La talpa Napoli pestata a sangue e lasciata al suolo in fin di vita dai soliti “intenditori” che attendevano impazienti il pretesto adeguato per pugnalare allo stomaco il progetto azzurro.
Io non ci sto. L’alternanza ormai quotidiana di giudizi da parte degli addetti ai lavori sono pillole al cianuro che l’intero gruppo ingoia. Il gioco al massacro è la via maestra di ogni fallimento partenopeo. Se si vuole il bene della squadra occorre chiudere gli estremismi fuori dai cancelli. Il mio monito è indirizzato anche ai tifosi stessi, o evidentemente alla parte marcia di essi. E’ inutile esaltarsi nelle vittorie per poi disprezzare e crocifiggere al primo passo falso o magari nei momenti più critici. In Inghilterra, la patria del calcio, i tifosi si chiamano supporters, cioè “sostenitori”. Riflettete su ciò che siete e sul recente passato di questa società prima di dar fiato alle vostre squallide trombe.
Il Napoli a Torino ha perso, in fondo meritatamente perché non ha ancora assimilato a fondo la mentalità beniteziana. C’è rimedio o si vuole compromettere quanto (tanto) fatto di buono finora? Obiettivamente, il dominio bianconero riscontrato dai più io non l’ho notato. Ho visto un Napoli colpevolmente terrorizzato nei primi quindici minuti. Poi i ragazzi sono entrati in partita e hanno ribattuto colpo su colpo ad avversari indemoniati e forti di un vantaggio fin troppo prematuro. Ma ricordate le ultime due gare dei partenopei allo Juventus Stadium? Se non erro, a parte una favolosa traversa di Cavani, in 180’ non è stato messo a referto nemmeno il colore della divisa di Buffon.
Qualcosa è cambiato. Forse ancora poco. Ma in fin dei conti, nella mia modesta opinione, il bicchiere è mezzo pieno. Ora c’è da rimboccarsi le maniche. Rivangare quei 90’ è autolesionismo puro. La solita carica dei media del nord sta screditando il Napoli e spingendolo giù dal trono. Gli uomini di Benitez non devono mai credere di essere inferiori a Juventus e Roma, il contraccolpo psicologico potrebbe rivelarsi devastante sul prosieguo della stagione. Solo noi possiamo aiutarli. Basta con le polemiche sterili. Freniamo la valanga. Un minuto. Scarso. Ma la partita è tutta da giocare. Palla al centro.
Ivan De Vita
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