Negli ultimi tempi, il tifoso napoletano si è tristemente tramutato in un depresso ed ipocondriaco malato che si trascina faticosamente dietro, di partita in partita, un ingombrante sacco ricolmo di aspettative e speranze, riponendo, nel match che verrà, un sempre convinto e volitivo “oggi si vince”.
Poi, per una serie di partite consecutive, accade che si scopre che non era “quella” la partita.
Quindi, ci si ricarica quel sacco, divenuto ancor più oneroso, sulle spalle, e ci si accinge a collocarlo a ridosso della prossima vigilia.
La strada che si interpone tra una partita e l’altra, però, è picconata da macchinose teorie, polemiche, contestazioni, commenti, indiscrezioni, fantamercato ed un’infinità di altre, frammiste e discrepanti variabili che concorrono a conferire alla piazza partenopea quel carattere peculiare, utile a tatuarle il titolo di “unica al mondo”.
Nel bene, ma, anche e soprattutto, nel male.
Già, perché è proprio nei periodi di magra, in cui i risultati stentano ad arrivare che tifosi, addetti ai lavori, “sacri e profani” del calcio, insomma, tutti, ma proprio tutti, si sentono legittimati a salire in cattedra per dire la loro.
Non importa che dopo una settimana o due può arrivare l’insindacabile smentita dal campo.
Quando il Napoli perde, tutto è lecito.
Pertanto, il pacato, cortese e signorile garbo che Benitez dispensa al cospetto dei microfoni, anche dopo una sonora sconfitta, snerva, spazientisce, viene fugacemente additato come sinonimo di “strafottenza”, nonché lampante segnale dello scarso attaccamento al progetto.
In realtà, la lezione, sportiva ed educativa, che il tecnico spagnolo impartisce a tutti noi, adottando quella distinta condotta, dovrebbe fungere da monito dal quale estrapolare l’insegnamento in cui è pregna la primordiale condizione necessaria e sufficiente per ergersi “tutti” a grande squadra, ovvero: “la mentalità vincente”.
Come possiamo auspicare di meritare una squadra di top player, se, noi per primi, non abbiamo la predisposizione mentale indispensabile per relazionarci con una grande squadra?
Higuain non è Maradona, ma questo lo sapevamo già.
Neanche Edinson lo era e nemmeno Lavezzi.
Quando erano a Napoli, anche a loro sono capitate le domeniche buie ed allora, anche loro, assumevano “terrene spoglie”.
Le medesime vestite attualmente da Gonzalo.
Tuttavia, con il passare del tempo è facile che talune reminiscenze sbiadiscano ed, inoltre, riesumare quei malinconici fantasmi, adesso, appare la soluzione più efficace per assopire il mal di sconfitta.
La verità è che quando il Napoli perde, l’animo dei tifosi è sopraffatto dalla medesima sensazione che si prova quando, nel rincasare, si trova la propria moglie, nel proprio letto, insieme ad un altro.
Nel nostro immaginario, però, siamo più predisposti a tollerare che quel tradimento avvenga con un Klopp, ma non con un Conte o un Donadoni.
Tuttavia, è altrettanto vero che a quella avvenente e fulgida donna che si chiama “Napoli”, il cui irresistibile fascino ci ha rapito il cuore quando eravamo ancora bambini, siamo incapaci di tenere il broncio.
Possiamo imprecare, inveire, urlare e vomitare parole irripetibili contro di lei, perché lei e soltanto lei sa indurci a generare la più funesta ed indomabile ira di cui siamo capaci, ma, sistematicamente, con altrettanta rapida e compassata redenzione, torniamo da lei.
Torniamo sempre da lei.
Quella donna, adesso, si è emancipata e sta apertamente manifestando la legittima necessità di avere accanto un uomo maturo e determinato, capace di sostenerla ed anche di “bastonarla”, quando è necessario, purché non sconfini nei superati e controproducenti limiti dettati dalla frustrazione e dall’ignoranza. Quindi, la critica è lecita, purché sia costruttiva e capace di imprimere nozioni ed insegnamenti utili per migliorare.
Una donna lungimirante non è disposta ad accettarne altre né tantomeno a scendere a compromessi.
Spesso mi è capitato di sentire alloggiare nell’aria, infatti, slogan del tipo: “Voglio un Napoli all’altezza dei suoi tifosi”.
Mi chiedo e vi chiedo: “Quanti tifosi effettivamente, di contro, sono all’altezza di questo Napoli?”
Ritengo che per compiere il famigerato “salto di qualità” è necessario evolvere, per il bene del Napoli ed insieme al Napoli, verso il conseguimento di quel tassello tanto indispensabile quanto imprescindibile: iniziamo ad adottare, tutti, una mentalità di una grande squadra, perché lo siamo!
Luciana Esposito
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