La stagione del Napoli era iniziata con grandi speranze. Le più rosee aspettative avevano colorato una partenza perfetta. Quattro vittorie nelle prime quattro di campionato, la lezione al Borussia, convinzione, qualità, tanti goal e solo pochi dettagli da perfezionare. O almeno l’exploit degli uomini di Rafa Benitez aveva confortato i dubbi sui punti deboli della squadra e sui petali mancanti a una rosa composta da grandi calciatori nel reparto offensivo, ma da giocatori meno affidabili in quello difensivo.
Fino a un mese fa, il passo falso casalingo col Sassuolo, la sfortunata sconfitta di Roma e la disavventura londinese in Champions erano state ampiamente riscattate con tante vittorie in campionato e con i sei punti conquistati nel doppio confronto col Marsiglia, sufficienti a piazzarsi al secondo posto nel girone più difficile del tabellone.
Poi, infortuni, malasorte, torti arbitrali e i limiti di una rosa che, come previsto, non avrebbe potuto permettersi stop forzati di uomini come Hamsik, Zuniga, la sorpresa Mesto, Albiol a denti stretti, Behrami al limite della “fusione nucleare” e una difesa col solo spagnolo proveniente dal Real capace di reggere l’urto del campionato italiano, hanno aperto un varco tra le fragilità di un Napoli diviso tra la grande qualità di alcuni e l’evidente insufficienza di altri. In mezzo, la pazienza di Benitez, provato, forse troppo provato, dall’impossibilità di poter contare su ricambi altrettanto validi per fronteggiare le assenze di Hamsik, di due terzini e la stanchezza di due mediani, Inler e Behrami, che da soli non possono reggere un’intera stagione.
Zuniga non c’è, e la squadra non guadagna più quei quaranta metri utili alla creatività di un Insigne troppo preoccupato di ripiegare sulla corsa di terzini occasionali, come Armero e Reveillere, messi lì quasi a mo’ di tappabuchi. Mesto, rivelazione della gestione Benitez, era diventato indispensabile per la serenità tattica di un Callejon che adesso deve correre per tutto il campo, su quella fascia, quando gli viene assegnata, dove Maggio non è il supporto tecnico adeguato per fraseggi e riferimenti di gioco. Il centrocampo senza Hamsik non è un centrocampo. Vi riflettano i detrattori dello slovacco, la cui qualità si capisce quando non c’è. Tatticamente la sua assenza è un danno irreparabile. Reina non può permettersi di assentarsi, perché Rafael non è ancora abbastanza maturo. Accanto ad Albiol, beh, c’è poco da cercare conforto. Fin quando i terzini del Napoli e la duttilità di Behrami sono riusciti a sopperire anche davanti alla difesa, si è notata meno l’assenza di un degno centrale di piede sinistro. Di fatto, il Napoli ha dei vuoti di settore. Qui ritornano i malumori giustificabili intorno alle eccessive prudenze economiche della società.
Tutto questo, insieme a qualche autorete di troppo, qualche legno di troppo e qualche svista arbitrale di troppo, hanno determinato sconfitte con Juventus e Parma in campionato e il pesante 3 a 1 rimediato a Dortmund, oltre a un colpevole 3 a 3 casalingo con una Udinese non proprio irresistibile. Fino a un mese fa, il Napoli era secondo nel girone di Champions, secondo in campionato, appaiato alla Juve, in scia alla Roma, e, oltre ai risultati incoraggianti, vantava un gioco brillante e un’efficacia tattica notevole. Nonostante la verve di Pandev, la qualità e la personalità di un grande calciatore come Higuain, l’affidabilità di Callejon e gli spunti di Mertens, quello che è un attacco da scudetto, che presenta numeri che nessuna squadra di A può vantare, si ritrova alle spalle una fase difensiva imbarazzante. Il Napoli di un mese fa non c’è più. Un marcato chiaroscuro si è impadronito delle tinte di una società che deve ancora smaltire alcuni calciatori indesiderati da Benitez, che aspetta gennaio e il futuro per raddrizzare la rotta di una squadra che negli ultimi tempi è diventata il passatempo della critica calcistica, forse pure un po’ in malafede.
Non è da folli pensare che i traguardi principali di questa stagione siano compromessi. Variante da non sottovalutare. Il Napoli di adesso è tanto lontano da quello di un mese fa, talmente tanto da non avere termini di paragone. Forse, chissà, ha cercato di crescere troppo in fretta. E la fretta, si sa, non è cara a mister Benitez.
Sebastiano Di Paolo, alias Elio Goka