“Cosa sceglierei tra il dolore e il nulla? Il dolore è idiota, io scelgo il nulla. Non è meglio, ma il dolore è un compromesso. O tutto o niente…“. Jean-Paul Belmondo recitava queste parole in “Fino all’ultimo respiro” di Jean-Luc Godard. Nessun patto prestabilito, nessun disegno già scritto. A costo di restare con un pugno di mosche in mano. Cagliari e Napoli sposano questa tesi. Tra sole 48 ore saranno ancora una di fronte all’altra. Non sarà una sfida qualunque. Non lo è mai stato. Fino all’ultimo battito.
Carpe diem. Afferra l’attimo, contemplane l’essenza. Lascialo rosolare sul braciere dell’eternità. Cagliari-Napoli è poesia sfuggente. Storia di dispetti e rancori. Di polemiche e bestemmie. Urla a squarciagola e urla strozzate in gola. Visibilio e disperazione, tutto nel giro di qualche secondo. Pochi. Ma di quelli stampati nella memoria.
Eppure non appaiono come due realtà così distanti. Entrambe sdraiate al sole e baciate dal mare, entrambe orgoglio di Madre Natura. Terre di “terroni” in senso lato, fieri esportatori delle proprie origini in giro per il mondo. Gente sanguigna e piena d’ingegno, martoriata troppo spesso dalle negligenze dei palazzi politici. Piazze bollenti sul piano sportivo, con due presidenti mal digeriti dal potere del pallone. Le gesta epiche di Gigi Riva e Diego Maradona riecheggiano nei ricordi e auspicano un sequel. Nell’attesa ci si accontenta delle briciole, anche se almeno all’ombra del Vesuvio cominciano ad essere briciole d’oro.
Cagliari-Napoli è rivalità allo stato puro. E’ “odio“. E forse le virgolette potrei anche evitarle. Sì, perchè il sano antagonismo sportivo è sfociato nel corso degli anni in un disprezzo più viscerale, atteggiamento poco consono a due popoli meridionali nello spirito. E invece a Cagliari ci trattano come a Torino o Verona. Antonio Langella, ex attaccante rossoblù di origini campane, confermava in un’intervista di qualche tempo fa quest’assurda tesi.
La leggenda narra che il pomo della discordia sia stato l’ex attaccante uruguaiano Daniel Fonseca. Passato dal Cagliari al Napoli nel 1992, griffa il successo degli azzurri al Sant’Elia con una doppietta condita dal gesto dell’ombrello ai tifosi rossoblu. I napoletani applaudono l’affronto e a fine gara si scatenano tafferugli. Solo un primo focolaio che nell’estate del ’97 diviene un inferno di cristallo. Spareggio Cagliari-Piacenza per evitare la retrocessione in B. Il campo neutro è il San Paolo di Napoli. L’allora allenatore emiliano Bortolo Mutti è già promesso ai partenopei per la stagione successiva. Così, arbitrariamente, i napoletani presenti sugli spalti incitano il Piacenza per tutta la gara. Finisce 3-1 con uno stadio in festa. Ma i cagliaritani non tornano a casa con la coda tra le gambe. Città messa a fuoco e fiamme, incidenti fino alle navi che li avrebbero rispediti in Sardegna. Soprattutto una ferita aperta. Sanguinante. Sono passati 16 anni. Nulla sembra poterla riassorbire.
Cagliari-Napoli è Daniele Conti. Un romanaccio che si è guadagnato un posto d’onore tra i Quattro Mori. E’ lui la scintilla del riscatto. Tutti attendevano con trepidazione la vendetta di quello sciagurato pomeriggio a Fuorigrotta. Eccola servita. Fredda. 27 gennaio 2008. Primo anno del Napoli in A dopo il purgatorio delle serie minori. Al Sant’Elia Bogliacino stava regalando i tre punti agli azzurri. Ma l’apocalisse era dietro l’angolo. Al novantesimo già scoccato Matri agguanta il pari e dopo due minuti Conti incorna in rete per un clamoroso e straziante 2-1 nel delirio dei suoi sostenitori. Fu il giorno di “andate a f***, napoletani pezzi di m***“, il labiale incontrovertibile di Cellino ripreso dalle telecamere, una dichiarazione di guerra che dalle nostre parti nessuno ha dimenticato. Parlavamo di Conti, però. Eh già, il figlio d’arte l’anno dopo gela il San Paolo con il gol del 2-2 ancora una volta al fotofinish. Una manciata di istanti. Interminabili. Interminabili come il tabù Cagliari che ronzava attorno al Napoli nei primi tre anni di massima serie. 3 pareggi e 3 sconfitte. Esultare sui gol del Piacenza non fu esattamente un’idea brillante. Il fato strozzino ha presentato il conto a distanza di un decennio. Salato.
Cagliari-Napoli è 22. “O’ pazz”, secondo la smorfia. Pazzo come l’incrocio tra queste due squadre, dall’esito sempre in bilico e deciso sul filo del rasoio. Pazzo come Ezequiel Lavezzi e quel 22 sulle spalle. Nel dicembre 2009, sempre in terra sarda, prima sigla lo 0-1, poi con una pallonata (volontaria?) rischia di colpire al volto l’allenatore avversario Allegri e si fa espellere in seguito al successivo parapiglia. In campo termina con un rocambolesco 3-3, ma a tranciare le linee del tempo e il cuore dei locali fu questa volta Bogliacino, al 95′. La ruota iniziava a girare. Ma la bestia nera era ancora lì, integra. La frantuma proprio il Pocho, esattamente un anno dopo. Nello stadio rivale, ancora inspiegabilmente oltre il tempo regolamentare. Cavalcata memorabile che stravolge le leggi della fisica e sconfessa i manuali di medicina e salute. Un urlo indecifrabile, l’isola a picco. Finalmente a gioire, dopo tanti affanni, siamo noi.
Cagliari-Napoli è una clessidra. Da quella fredda sera del 2010 gli isolani non hanno più saputo vincere. E soprattutto le emozioni a due passi dalla bandiera a scacchi sono andate scemando. Gare sempre combattutissime e vivaci, prive però del proverbiale pathos in extremis. Ma guai a cullarsi ed abbassare la guardia. Mai sottovalutare l’intreccio di questi colori. In un lampo, solo otto mesi fa, Insigne ha realizzato quel 3-2 al 94′, riesumando un vortice di emozioni che parevano ormai incastonate nel passato.
Cagliari-Napoli, invece, non passerà mai. E’ storia di un attimo. L’attimo che sbatte la porta in faccia al “The end”. Sabato sera è solo la prossima puntata, ma non ci saranno titoli di coda. Un consiglio: non spegnete la tv al triplice fischio. Non si sa mai.
Ivan De Vita
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