Verona-Napoli, una partita diversa da tutte le altre

Questa non è una partita come le altre, e chiunque lo dica dimentica il passato e la storia. Verona contro Napoli è più di una sfida di calcio, qualcosa che va oltre, ai confini delle emozioni. Tanto che tenerle a freno, le emozioni, è praticamente impossibile, e come spesso accade in questi casi uscire dai binari della civiltà è un attimo. Come non ricordare gli sfottò che si sono lanciati veronesi e napoletani nel tempo? I primi, con volgarità, hanno scritto: “Acqua e saon para el teron”. I secondi, una volta, raggiungendo l’apice dell’ironia, hanno risposto: “Giulietta è ‘na z…”. Colori e voci attorno a una partita che è stata oggetto di studio di psicologi, sociologi ed esperti di costume. Il Nord contro il Sud, i Polentoni contro i Terroni, forza Vesuvio!, e via con il dizionario delle idiozie di cui noi italiani siamo depositari assoluti. Ovviamente la speranza è che non accada nulla, che tutto fili liscio, che in campo ci si stringa la mano a ogni fallo, che in tribuna e in curva si urli, ma ci si rispetti. Se succederà, sarà un passo in avanti nel processo di educazione dei tifosi.

Orgoglio. Il Verona è la grande sorpresa del campionato: i ragazzi di Mandorlini giocano, corrono, divertono e si divertono. Fanno punti e, dopo tanti anni a penare e a guardare con invidia le imprese del Chievo, la gente dell’Hellas ha rialzato la testa. Con l’orgoglio dei signori e la spensieratezza di chi non ha nulla da perdere e si può permettere di sognare, osservano dall’alto squadre che hanno speso euro su euro. E’ quinto in classifica il Verona dei miracoli: alzi la mano chi l’aveva previsto? Frutto di lavoro duro in allenamento, di spirito di gruppo e di quell’alchimia che sempre si crea in certi momenti: e poi c’è Toni che si trascina dietro i compagni e pare un ragazzino. Logico che il pubblico abbia ritrovato l’amore e che vada al Bentegodi con la certezza di assistere a uno spettacolo. Qualcuno, in città, si è pure sbilanciato e ha paragonato la squadra di Mandorlini a quella mitica di Bagnoli, scudetto 1985. Esagerazioni, ma figlie dell’amore (dunque comprensibili).

Dribbling. Chi sta lottando per stare lassù è il Napoli di Benitez. Terzo in classifica, ma non ci si può fermare nemmeno un attimo a tirare il fiato, bisogna continuare ad accelerare, correre, sgommare. Verona è una tappa delicata, quasi trappola. Benitez è un allenatore furbo ed esperto: sa di rischiare. E sa pure che in quello stadio si giocano due partite: una in campo e una sugli spalti. L’ambiente non aiuterà il Napoli (per usare un eufemismo): tifoserie che le dicono, e a volte se le danno, di santa ragione. Higuain e i suoi amici dovranno dribblare anche questo ostacolo: d’altronde, se si vuole arrivare tra le top d’Europa, certi passaggi vanno superati. Il Pipita, oggi, ha una grande possibilità: battere Maradona. Il grande Diego debuttò nel nostro campionato proprio al Bentegodi di Verona: era il 16 settembre 1984, lui aveva i riccioli scuri che gli arrivavano alle spalle e lo sguardo spaesato di chi non ha ancora capito dov’è capitato. Osvaldo Bagnoli gli piazzò Briegel in marcatura a uomo, non lo fece muovere e il Verona si mangiò il Napoli: 3-1 (gol di Briegel, Galderisi e Di Gennaro per i veneti; Bertoni per i partenopei). Maradona negli spogliatoi a capo chino. Nelle strade attorno al Bentegodi, tanto per cambiare, botte da orbi tra tifosi (o pseudo-tali). Tutte queste storie, Higuain magari non se le ricorderà, ma oggi, entrando in campo, di sicuro capirà che Verona-Napoli non è una partita come le altre.

FONTE Gazzetta dello Sport

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