Ieri sera, più o meno ore 23,30. Girovagavo sul web rasserenato dalla qualificazione alle semifinali di Coppa Italia, ma infastidito dagli attriti crescenti che stanno tormentando il rapporto tra Napoli e il Napoli.
Sono piombato (non proprio senza volerlo) sulle migliaia di immagini relative a quella notte di maggio di due anni fa. Emozioni, pelle d’oca. Ero alla Rotonda Diaz quella sera. Se mi fermo e ci rifletto un attimo, non potrò evitare di versare una lacrimuccia. E’ quello, allo stato dei fatti, l’unico trofeo posto in bacheca nell’era De Laurentiis. Ma non l’unica soddisfazione. Le promozioni, i tanti tabù infranti, le qualificazioni alla Champions, le eccellenti prestazioni nella massima competizione europea. Nulla di cui poter vantare in un palmares ancora scheletrico. Certamente gioie indimenticabili e comunque da tramandare ai posteri.
La città vuole vincere. E’ stanca di sostenere questi colori con smisurata passione ricevendo in cambio pochi spiccioli. Ora è più esigente che mai, perchè le chimere di decenni all’asciutto sembrano improvvisamente ad un tiro di schioppo. Non poterle agguantare per una questione di centimetri scatena l’ira degli animi più clementi. Un unico imputato: Aurelio De Laurentiis. Forse un po’ vittima di sè stesso, il presidente ha prima lanciato mirabolanti promesse per poi calamitare su di sè, in un destabilizzante effetto boomerang, le aspettative deluse della piazza partenopea.
L’eccesso, però, è assolutamente da censurare. Gli striscioni esposti nelle ultime settimane non solo all’interno del S.Paolo, l’insofferenza palesata dai tanti irriproducibili cori (qualcuno addirittura appena dopo il goal di Higuain alla Lazio) sembrano davvero fuori luogo. Senza appigliarci al solito sermone “ci ha raccolti dal baratro e portati in Champions” che oggettivamente non può valere come eterno alibi, c’è però da applaudire la costante crescita del club, consacrata dall’arrivo di Benitez e dagli acquisti estivi. Non può la sete di successi demolire le emozioni vissute finora. Vogliamo che DeLa si stufi e molli la barca? E contro quali scogli finiremo a sbattere? Pazienza ed equilibrio. Questa è la ricetta.
E’ vero, i paradossi anche da parte dirigenziale non mancano. Se l’obiettivo è vincere, come confessato ad agosto, si sistemano i tasselli in modo tale da raggiungerlo. Cos’è mancato al Napoli per assicurarsi i giusti innesti?Intoppi esterni (volontà dei calciatori, richieste troppo esose) o intoppi interni (diritti d’immagine, cavilli burocratici, parziali divergenze tra la volontà del tecnico e quelle della società)? Qualche dubbio è giusto sollevarlo, se il mercato di gennaio regala in dote calciatori di prospettiva ma dai quali sarebbe irriverente pretendere un immediato salto di qualità. Era lecito attendersi di più, soprattutto dopo le dichiarazioni di patrimonio ostentate più volte dal patron. Forse, ad onoro del vero, è proprio la strategia comunicativa che andrebbe alacremente rattoppata.
Ma le stranezze del periodo non finiscono qui. I fischi di una parte dello stadio ad Insigne hanno trascinato Fuorigrotta nelle tenebre della superficialità, sollevando polveroni che fanno solo il male di Napoli. Il suo agente, in giornata, ha detto che se il rapporto con la tifoseria resta tale si potrebbe meditare anche un addio. Bravo, bella mossa. Poi non si risentano i procuratori se vengono dipinti come la melma del calcio moderno. Lorenzo sta attraversando un’annata altalenante, impigrita dal senso di responsabilità e dalla pressione che il classico “profeta in patria” è costretto a caricarsi sulle spalle. Fischiare è come infilare un’asta metallica in un meccanismo già poco oleato. La disapprovazione è un fondamento della democrazia, ma il tifoso ragiona solo col cuore. Fischia per amore, sperando di provocare una reazione. Anche perchè, generalmente, ci si catapulta contro coloro che non dimostrano attaccamento della maglia. E lui, in quel di Verona, contro coloro che ci denigrano ogni sacrosanta domenica, ha dimostrato quanto sia Magnifico. Paradossi.
Un ultimo accenno alle parole del caro ex Walter Mazzarri. Ha dimostrato, pian piano, il suo valore come uomo, specialmente da quando ha lasciato Castelvolturno. Però nell’anteprima del suo libro in uscita qualcosa di vero lo riscontro. All’ombra del Vesuvio tanti addetti ai lavori remano contro l’operato della società, aizzando il malcontento del popolo a proprio piacimento. Lo facevano prima, lo fanno ora. Non smetteranno mai. Una delle nostre piaghe, almeno sul piano calcistico, è proprio questa. E’ inutile che poi, colpiti al cuore, ci si ribella inviperiti. Si pensi a fare il proprio lavoro in modo costruttivo e dignitoso. Le vittorie a cui tutti auspichiamo si costruiscono dal basso. Meditate gente.
Ivan De Vita
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