Ieri abbiamo assistito alla gara di Europa League del Napoli contro il Porto. Ma non parlerò della gara, né delle tre occasioni limpide e di Martinez che vestiva la maglia sbagliata, né del loro goal regolare o del palo da infarto, né tanto meno della mancata zampata di Zapata che ha generato in ognuno di noi la voglia di lanciarsi violentemente verso il muro per prendersi a capate da soli. In modo tale che il dolore fisico potesse soppiantare quello psicologico ed emotivo. Ma, come ho detto, non voglio parlare di tutto questo. Piuttosto, preferisco darvi appuntamento tra una settimana per leggere della partita perfetta, del ritorno al calcio vero e al goal di Hamsik, di un Reina finalmente non impiegato a far miracoli, di un Insigne migliore in campo, di uno stadio pieno che applaude e sorride. Ma tutto ciò, ripeto, tra una settimana.
Oggi, volevo raccontarvi, invece, dell’altra faccia del calcio. Quello fatto di pura passione e tanti pizzichi sulla pancia. Volevo raccontarvi di un calcio giocato su campi di periferia, con spalti traballanti, quando ci sono, e spogliatoi da “undici cuori e una capanna”. Di quel calcio che, tra un tempo e l’altro, non manda in onda i volti di Messi, Cavani, Ribery e altri per far sentire il loro “No al razzismo!”. Quello che col razzismo ci ha a che fare ogni maledetta domenica e deve solo alzare la voce per farsi sentire. O rinunciare a giocare.
Perché questo è quello ha fatto la squadra “Casablanca” composta da immigrati marocchini e iscritta al campionato UISP di Forlì. Ha DOVUTO rinunciare a giocare per porre l’attenzione sulle continue paroline, insulti, vessazioni subìte durante le partite di campionato. Ad un certo punto hanno detto basta e hanno ritirato la propria squadra dal campionato, facendo arrivare la notizia, finalmente, alla ribalta nazionale. Ma è da credere che siano ancora tante le situazioni, che restano nascoste, in cui giocatori stranieri, a tutti i livelli, incassano battutine e allusioni molto spiacevoli e irritanti. Tanto che la UISP Forlì ha deciso di sospendere il campionato di calcio a 11 per accertamenti sui fatti denunciati e per solidarietà con i giocatori del “Casablanca”.
Insomma, c’è una parte di calcio che, forse con le idee un po’ confuse, traduce la frase ripetuta dai grandi campioni in tutte le lingue, in tv, prima delle sfide internazionali: “No to Racism” con “Tornate a casa, marocchini di merda!”. Le differenze, trovatele voi.