L’amarcord di Bruscolotti: “I ricordi legati alle vittorie azzurre in Coppa Italia sono indelibili”

La mascella di Sassano. O anche palo ’e fierro, perché il popolo del San Paolo non dimenticò mai quella volta in cui non esitò a mettere la testa sul piede di Bettega per scongiurare un gol della Juventus. Peppe Bruscolotti si è meritato soprannomi da leggenda in un calcio che nascondeva ancora un alone di romanticismo. Tre finali di Coppa Italia con il Napoli, due vinte e una persa. Iniziamo dalla prima: 29 giugno 1976. Era il Napoli di Luis Vinicio, uno dei sedici Napoli di Bruscolotti. Ma in panchina c’erano Delfrati e Rivellino. «Una stagione incredibile: a dicembre vincemmo con la Lazio 1-0 e volammo al primo posto sulle ali di ’O surdato ’nnammurato. Sognavamo lo scudetto a occhi aperti: con Vinicio avevamo creato un gruppo fantastico, un gioco spettacolare. Era appena arrivato Savoldi e contendevamo a Juventus e Torino il primo posto. Poi qualcosa si ruppe e Vinicio andò via dopo una litigata con Ferlaino. La fase finale della Coppa Italia la facemmo senza di lui».

La sua assenza fu una carica?
«Noi volevamo bene a Vinicio, eravamo molto legati a lui. Io, in particolare, ero giovanissimo e non potevo che essergli grato per il fatto che giocavo titolare in quel Napoli fantastico. Poi ci aveva dato la possibilità di stupire tutti con un calcio totale, tipo quello degli olandesi. C’era grande attesa per la Coppa Italia, che il Napoli aveva vinto solo una volta, 15 anni prima, quando era in serie B. Poi c’era anche la rabbia del nostro capitano, Juliano: in tanti anni in azzurro non aveva mai conquistato un trofeo. Io ho dovuto attendere altri 11 anni per vincere quello più bello».

Fu una gara a senso unico.
«Noi eravamo favoriti rispetto al Verona che aveva vinto il suo girone facendoci il piacere di eliminare l’Inter: marcavo Zigoni e vincemmo 4-0. Quel successo segnò la fine di un ciclo in cui avremmo meritato di vincere lo scudetto. La Coppa Italia per gente come La Palma, Burgnich, Vavassori, Massa, Savoldi, e Braglia fu davvero poco».

Si ricorda il premio per quel successo?
«Poche lire. Il presidente ci diede una percentuale sugli incassi delle gare interne di Coppa, come era usanza di quei tempi».

Due anni dopo, la seconda finale: questa volta c’è l’Inter .
«Era l’Inter di Bersellini che non vinceva una Coppa Italia dalla fine degli anni ’30, dai tempi dell’Ambrosiana: incredibile, negli anni Sessanta l’Inter di Moratti e Herrera aveva vinto qualsiasi cosa ma non la Coppa Italia. Si giocò in pieno Mondiale di Argentina: ci eravamo qualificati travolgendo per 5-0 la Juve che però era senza i nazionali. Ma battere la Juventus in quel modo è sempre bello. In finale mi toccò fermare Muraro. Noi fummo beffati dai gol di Altobelli e Bini nei minuti finali. Una delusione enorme. C’era Di Marzio in panchina e c’era ancora Savoldi. Ed alla fine quella fu anche l’ultima volta di Juliano con il Napoli».

Terza finalissima: c’è l’Atalanta. Il ricordo più dolce?
«Sicuramente. Eravamo la corazzata e dominammo quell’edizione del 1987 con una cavalcata strepitosa: 13 vittorie in 13 gare. Un anno storico, fenomenale: il primo campionato vinto con Maradona, l’accoppiata con la Coppa Italia che prima di allora era riuscita solo a Torino e Juventus. Ricordo la fame che avevamo nella gara di ritorno a Bergamo: all’andata avevamo vinto 3-0 ma scendemmo in campo con una voglia di vincere da fare impressione. E infatti segnò Giordano e vincemmo pure lì: una squadra di cannibali. Era quello che voleva Bianchi».

Napoli-Fiorentina: chi è la sua favorita?
«Se recupera Higuain, dico gli azzurri. La conquista della Coppa Italia renderà positiva questa stagione. Spero che il capitano Hamsik riesca ad alzare un’altra Coppa Italia, proprio come me. Ma che poi in estate vada via altrimenti prima o poi batterà il mio record di presenze».

FONTE Il Mattino

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