Il calcio è uno sport. Dovrebbe essere chiaro a tutti coloro i quali si avvicinano ad uno stadio oppure iniziano a prendere a calci un pallone. Il calcio è uno sport popolare, amato, seguito spesso esagerando osannato. Il calcio è uno sport che tiene davanti alla tv miliardi di persone che ha fatto palpitare e farà palpitare il cuore e la passione di intere generazioni. Il calcio è un ritrovo sociale, un punto d’incontro di uomini di ogni razza, cultura, credo religioso, estrazione etnica.
Il calcio ha quindi una forza immensa, una potenzialità incredibile che è in sé tesoro e pericolo di questo sport meraviglioso. Il calcio sarebbe capace di unire com’è capace spesso di creare lacerazioni profonde nel tessuto sociale nazionale ed internazionale. Il calcio è uno spettacolo sportivo meraviglioso se solo fosse vissuto esclusivamente per quello che è. Il calcio non ha nulla a che fare con odi razzisti, siano questi di natura razziale e/o territoriale. Il calcio non ha nulla che fare con credi politici o cronaca nera.
Il calcio è o dovrebbe essere (permetteteci il condizionale) solo ed esclusivamente l’espressione delle gesta sportive di uomini preparati fisicamente e mentalmente a sopportare lo sforzo fisico, a correre meglio e di più di un avversario che non è un nemico, ma solo uno sportivo ugualmente preparato ma che indossa in quel momento una maglia cromaticamente differente.
Il calcio è ancora tutto ciò? Ieri sera abbiamo forse assistito all’ennesimo delitto contro questo sport. Cronaca sportiva e cronaca nera intrecciate ancora una volta indissolubilmente. Un uomo di trent’anni è intento in una lotta per la vita che con lo questo sport non ha nulla a che vedere ma che da una manifestazione sportiva calcistica è stata causata. Che senso ha tutto ciò?
Non è ancora chiarissima la dinamica dell’accaduto, quello che è sicuro è che un uomo romano è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio, che altri uomini sono stati feriti. Quello che è sicuro è che la delinquenza ordinaria si miscela e trova sfogo nel corso di manifestazioni sportive calcistiche. Non è successo ieri, non lo scopriamo tutti insieme per una finale di Coppa Italia.
Stonano alle orecchie le parole proferite oggi dalle più alte cariche dello Stato. Quelle stesse cariche che ieri erano presenti all’evento sportivo e che sono sembrate inermi, impaurite, indecisi sul da farsi. Rimane l’amaro in bocca nel dover constatare ancora una volta che questo sport sembra ostaggio di pochi, non bene della comunità. Ostaggio di personaggi che meglio di qualsiasi prefetto o questore riescono a tenere il pugno della situazione e la calma del popolo. Una sorte di organizzazione parallela, che esula da qualsiasi regola, scavalca recinzioni, accende fumogeni, legifera su cosa o chi introdurre nelle curve, autentica terra di nessuno.
Questi personaggi ieri e non solo ieri (ricordiamo i fatti di Genova di qualche anno fa, il triste e famoso derby romano fermato per nulla, il delitto Raciti) hanno in scacco l’intera organizzazione calcio italiana che accetta spesso l’aggirare delle regole per questioni di “bene comune” o per biechi interessi economici.
La speranze si mescolano con le certezze, che oggi domani e dopodomani se ne parlerà copiosamente. L’opinione pubblica ha bisogno di trovare i colpevoli e mettere ancora una volta tutto a tacere, in nome del Dio denaro che tutto fa girar. Qui si decide solo quando e se c’è un morto per terra, mentre ogni settimana trascorrono le partite con la speranze che tutto fili liscio sino al prossimo episodio. Appena il polverone si sarà abbassato, tutti ad urlare contro uno juventino o ad inneggiare al Vesuvio.
Antonio Picarelli
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