Vincere aiuta a vincere, una frase che può sembrare scontata ma che nasconde nelle sue membra una verità assoluta. Il Napoli vince meritatamente la Coppa Italia 2013/2014 a coronamento di una galoppata in cui gli azzurri hanno palesato l’estrema volontà di fare proprio questo titolo, guardando da oggi ad obiettivi sempre più suggestivi. La netta vittoria per 3-1 sulla Fiorentina rappresenta il giusto epilogo di una competizione in cui il Napoli, dopo aver eliminato Atalanta e Lazio, ha superato in un’epica doppia sfida la Roma dei record di Garcia, che aveva come indiscusso obiettivo quello di iniziare il proprio ciclo alzando la decima Coppa Italia nella finale casalinga. Traguardo,che invece, è stato centrato da Benitez e la sua truppa. Ovvio, scontato, che il pensiero cada al titolo vinto due anni fa, a quella finale contro la Juventus ancora indelebile negli occhi dei tifosi. Giusto che queste due vittorie, oggi, vengano raffrontate, perché completamente diverse.
L’emblema di una rinascita – La vittoria di due anni fa centrata dagli uomini di Walter Mazzarri fu un punto d’arrivo. La fotografia perfetta di un Napoli che risorto dalle proprie ceneri come una fenice, passo dopo passo, accompagnato dall’oculata gestione del presidente Aurelio De Laurentiis era tornato a pieno titolo dove poco meno di dieci anni prima nessuno avrebbe mai immaginato: l’elitè del calcio italiano. La coppa issata al cielo dal capitano Paolo Cannavaro si aggiungeva alle lacrime di Genova del Giugno 2007, alle stagioni da matricola terribile con Edy Reja al timone, al ritorno in Europa con la suggestiva sfida del Da Luz. Un progetto esaltato poi dalla ferocia, dalla cattiveria, dalla voglia del self made man Mazzarri, con gli azzurri che tornano dopo decenni a giocarsi lo scudetto e riabbracciano la massima competizione europea, il tutto in barba agli scettici. Roma 2012, il primo titolo in bacheca dalla Supercoppa Italiana del 1991, come l’esordio in una sera di settembre a Manchester, come l’illusione della magnifica vittoria casalinga agli Ottavi di Champions contro il Chelsea, il giusto coronamento di una cavalcata lunghissima e ricca di soddisfazioni. Ma per questo proprio un punto, un lieto fine, sebbene l’appendice conclusiva sia stata rappresentata da una successiva, e ricca di soddisfazioni, annata, aldilà degli addii più o meno apprezzati.
Il primo capitolo di uno step “internazionale” – La Tim Cup sollevata da un orgoglioso Marek Hamsik alla prima stagione da capitano in questa serata resa, purtroppo, agrodolce da eventi extracalcistici ha un profumo diverso. Rappresenta il primo tassello della Rafa-Revolution, di un percorso iniziato la scorsa estate dall’ambizione palpabile. Un titolo che conclude un’annata caratterizzata da alti e bassi e che non è stata esente da critiche. I proclami, il cui tiro è stato corretto negli ultimi tempi parlando di anno di transizione, hanno causato qualche malumore di troppo nei confronti di un progetto che va comunque sostenuto in maniera unanime. La rosa è stata modificata radicalmente sulla scia dell’idea di calcio del tecnico, ed in questo processo di internazionalizzazione un’annata di assestamento, condita da un titolo e con il terzo posto quasi blindato, è indubbiamente positiva. Sarà necessario lavorare, e bene, durante la prossima sessione di mercato, alla ricerca dei tasselli giusti che possano definitivamente chiudere il cerchio del mister madrileno, cercando però di improntare nel gruppo quella mentalità vincente in ogni singola sfida, al fine di evitare le battute d’arresto che quest’anno hanno condizionato una stagione che avrebbe potuto raccontare ben altro.
Il primo passo è stato fatto, sul prossimo futuro non ci resta che dire, rifacendoci ad una citazione molto in voga negli ultimi tempi: “Il meglio deve ancora venire..”
Edoardo Brancaccio
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