Profili azzurri: Vincenzo Montefusco

250px-Vincenzo_MontefuscoOsservando la permanenza con la maglia del Napoli di calciatori napoletani cresciuti nel vivaio azzurro viene spontaneo ricordare le gesta incompiute e prive di successi importanti di tre personaggi che hanno costruito la storia degli azzurri nella cavalcata tra gli anni ’60 e ’70, quando solo per poche occasioni il Napoli riuscì a sfiorare lo scudetto, vincendo solo trofei minori, parliamo di Antonio Juliano, Gianni Improta e Vincenzo Montefusco, sfortunati eroi in patria che avrebbero forse meritato miglior sorte. Dei tre quello che potremmo definire maggiormente “incompiuto” è sicuramente Vincenzo Montefusco, centrocampista abile a costruire la manovra e ad interdire il gioco altrui, in grado di debuttare appena diciassettenne sotto la guida di Bruno Pesaola, segnando anche un gol in contro il Genoa nel 1963, sfiorando il passaggio all’Inter di Herrera l’anno dopo, quando la contropartita Zaglio non accettò di venire in maglia azzurra, dopo che il “mago” aveva puntato sul giovane centrocampista napoletano per il dopo-Tagnin, ma la sorte volle che Enzo rimanesse in azzurro fino al 1970, collezionando 129 presenze e 6 gol, prima di passare al Foggia, al Vicenza e al Taranto in prestito per una stagione, per tornare puntualmente al mittente a fine stagione, potendo soltanto aumentare il suo bagaglio di esperienze e di gettoni di presenza, ma senza lasciare mai veramente il segno.

montefuscoGli anni che vanno dal ’75 al ’77 sono da archiviare per la stella incompiuta partenopea, che giocherà solo qualche scampolo di gara per poi concludere una carriera ricca di soddisfazioni personali seppur senza mai vincere qualcosa di importante, come quando giocò un torneo estivo con l’Inter di Suarez e Picchi, prima che la sua cessione venisse ritrattata come descritto sopra. Ma anche in maglia azzurra non può certo lamentarsi, nel ’66 giocò in squadra con mostri sacri quali Sivori e Altafini, riuscendo a sfiorare il tricolore per un soffio, rammarico più grande anche per i “fratelli di sventuraJuliano ed Improta, con i quali aveva colonizzato il centrocampo azzurro, puntellato in quegli anni anche dalla presenza di Ottavio Bianchi, futuro mister del primo scudetto targato NA.

Appese le scarpe al chiodo ha intrapreso la carriera di allenatore, toccando il livello più alto assumendo l’incarico di allenatore della prima squadra del Napoli durante la stagione 1996-97, quando subentrò a Gigi Simoni, esonerato da Ferlaino per aver accettato di firmare con l’Inter a campionato in corso, la stessa stagione in cui il Napoli rischiò il tracollo in campionato e lo spettro della B era imminente, oltretutto la squadra si smarrì definitivamente nella finale di Coppa Italia persa contro il Vicenza, anche se Montefusco preferisce ricordarla così: “E’ una sintesi sbagliata! In quell’anno il Napoli, allenato da Simoni, era partito molto bene. Poi Gigi chiuse un accordo per allenare l’Inter nel campionato successivo; le cose in campionato incominciarono ad andare molto male per il Napoli, al punto tale che la retrocessione sembrava un fatto certo. Io lavoravo con le giovanili e fui chiamato dal DG Bianchi ad assumere la responsabilità della prima squadra. Una responsabilità tremenda: bisognava salvare il Napoli dalla B e non volevo assolutamente che la mia squadra retrocedesse e che il mio nome fosse associato a tale evento “tragico“.
Per senso di responsabilità e senza avere alcun riconoscimento economico extra per il nuovo incarico, accettai. Riuscii nel miracolo e nessuno oggi ricorda questa grande impresa. Tutti ricordano però la sconfitta in Coppa Italia”.

montefusco-320x241“Le cose andarono così: mancavano pochissime giornate al termine del Campionato e le due finali di Coppa Italia si vennero ad intrecciare con le ultime e decisive sfide per la salvezza. In particolare dovevamo incontrare il Vicenza anche nell’ultimissima giornata di Campionato: in totale quindi tre partite con i veneti.
Ci salvammo con una giornata di anticipo; nella successiva settimana andammo a giocare la partita di ritorno a Vicenza, quella di andata l’avevamo vinta per 1-0. Fu una partita stranissima: dopo pochi minuti, il nostro attaccante Caccia si fece espellere in maniera futile costringendoci a giocare in 10 per quasi tutta la partita. I giocatori mi parvero deconcentrati, probabilmente per l’avvenuta conquista della salvezza; non riuscii a modificare il loro atteggiamento e perdemmo l’incontro ai supplementari per 3-0. Coppa Italia sfumata, ma per me l’importante era rimanere in Serie A e ci eravamo riusciti!”.

Le pagine della biografia di Montefusco soffrono il peso delle scelte che in carriera ha dovuto giocoforza prendere, privilegiando la maglia della propria città, anche mettendo in gioco il prestigio ed il blasone di un cammino calcistico che avrebbe dovuto essere più adeguato alle doti tecniche di un calciatore che ad inizio carriera sembrava destinato a miglior sorte. Non resta che il commiato della platea partenopea, che gli riconoscerà quel senso di attaccamento che altri non avrebbero privilegiato, mettendo davanti a tutto l’importanza di una carriera di spessore. Oggi lo si vede spesso nelle vesti di commentatore e opinionista durante le trasmissioni dei canali privati napoletani, un modo come un altro di restare attaccato alla causa azzurra.

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