Potrebbe mai accadere oggi che la Samp o l’Udinese, una squadra di metà classifica, si presenti a Barcellona e acquisti Messi? No, ovviamente. Ma è successo trent’anni fa, quando il presidente e il direttore generale del Napoli, arrivato dodicesimo nel campionato ’83-’84, scampando miracolosamente alla retrocessione in serie B, volarono in Spagna e presentarono al club catalano l’offerta per Diego Armando Maradona, la stella argentina del Barça, 23 anni e una voglia di sfilarsi la maglia blaugrana dopo un grave infortunio, le tensioni con i dirigenti e i tifosi (pare per le prime notti brave) e lo scarsissimo feeling con l’allenatore connazionale Menotti, che pure era arrivato a dichiarare – senza troppa convinzione – che avrebbe incendiato il Camp Nou se avessero venduto Maradona.
La trattativa si aprì improvvisamente a fine campionato, quando gli intermediari Ricardo Fujca e Luis Minguella, su indicazione del primo storico procuratore di Diego, Jorge Cyterzspiler, si misero al lavoro per cercare una nuova squadra per l’insofferente campione, che aveva detto chiaro e tondo: «Yo quiero irme», voglio andarmene. Vi fu una telefonata con Pierpaolo Marino, allora direttore sportivo dell’Avellino, per organizzare un’amichevole e poi il sondaggio con il Napoli. Ferlaino si illuminò e rivelò questo suo pensiero stupendo a Carlo de Gaudio, l’amico napoletano che sedeva nel Consiglio federale e al fianco di Bearzot sulla panchina della Nazionale, in un albergo di Zurigo, dove era in corso la festa per gli 80 anni della Fifa. Maradona a Napoli: sembrava follia, invece sarebbe stata la più affascinante trattativa nella storia del calciomercato e soprattutto sarebbe stato l’affare decisivo per cambiare il destino di una squadra che non aveva mai vinto lo scudetto e con Diego ne conquistò due.
Cinquanta giorni di scontri con il Barça. L’ex capitano Juliano ospite fisso dell’Hotel Princesa Sofia, struttura di proprietà del vicepresidente Joan Gaspart; i blitz di Ferlaino e degli altri consiglieri che seguirono la trattativa, da Gianni Punzo a Dino Celentano. «Quelli del Barcellona alzavano sempre il prezzo ». Sembrò non bastare la volontà di Maradona di cambiare squadra, neanche i fax spediti dalla direzione generale del Banco di Napoli: Ferlaino aveva convinto i vertici dell’istituto a riunirsi di domenica, in una sala riservata dell’Hotel Excelsior, per assicurare la copertura finanziaria dell’operazione. C’era una città in fermento, dal sindaco Vincenzo Scotti ai tifosi delle curve. La firma arrivò nell’ ultimo giorno di calciomercato in Italia, 30 giugno. Juliano finse di volare a Madrid per assicurarsi il bomber messicano Hugo Sanchez, lo fermarono i dirigenti del Barça e gli dissero che si poteva chiudere. Ma non sarebbe stato possibile entro la mezzanotte, termine ultimo fissato dalla Lega calcio per i tesseramenti. E così Ferlaino salì su un aerotaxi, si fermò a Milano e consegnò nella portineria della Lega una busta. «C’è il contratto di Maradona», disse. Ma era vuota. Poi la seconda tappa, a Barcellona: documenti sottoscritti in fretta, al club catalano l’equivalente di 13 miliardi e mezzo di lire, quindi il volo a Milano e la consegna a una guardia giurata compiacente della busta “buona”, quella che conteneva il contratto. Un colpo di teatro per il più grande colpo di mercato.
Il 4 luglio lo sbarco a Napoli e il 5 la presentazione al San Paolo. Sessantamila napoletani, il grande Carlo Iuliano che organizzò la presentazione di Maradona. «Buona sera napolitani », chi c’era ricorda ancora le due parole di Diego in un oceano di applausi. Napoli, quel pomeriggio, cominciò a sentirsi grandissima.
FONTE: Il Mattino