Le partite più importanti si giocano con il cuore, non con i piedi. Maradona lo sa bene, Leo Messi no. E non pigliamocela con lui: non avevamo bisogno di conferme. Messi non è Maradona, e non lo sarà mai.
Messi non è Maradona perché il carattere, quello del leader, non sa neanche dove sta di casa. Messi non è Maradona perché la nazionale, per lui, equivale a delusione. Messi non è Maradona perché nelle partite importanti, soprattutto con la maglia dell’Argentina addosso, stecca. Messi non è Maradona perché lui, Diego, si sarebbe caricato a palla con i fischi degli avversari piuttosto che abbassare la testa.
Messi non è Maradona, e non lo sarà mai. Prendiamocela, piuttosto, con la voglia di fare paragoni, con il bisogno di giornalisti ed opinionisti di questo mondo e quell’altro di creare battaglie, di descrivere tutto con termini bellici, di mettere in piedi confronti e complotti che, nella realtà delle cose, non esistono.
Fatevene una ragione, e lasciate in pace Diego. La pressione rischia solo di fare un brutto scherzo al piccolo uomo che è Leo Messi, cresciuto troppo in fretta, arrivato fin lassù troppo presto.
Nella punizione all’ultimo minuto di recupero del secondo tempo supplementare, ieri, Leo aveva la possibilità di rifarsi. Sarebbe bastata una palla in mezzo, come una delle sue, tagliata, forte, e poi quel che succede succede. Ma Messi ha voluto strafare. Palla alta e tutti a casa, sogno Mondiale compreso.
Il dubbio, però, rimane forte. Chissà Diego come l’avrebbe tirata quella punizione. Chissà quanti gesti a sfidare l’avversario, a irriderlo, a sfottere il mondo. Chissà fin dove l’avrebbe messa quella maledetta palla. Ma i paragoni, quelli, lasciamoli agli opinionisti. Chi ne capisce davvero di calcio sa che di Diego Armando Maradona ce n’è solo uno.
Raffaele Nappi