Il tifoso. Non ha dormito granché bene, il tifoso. Lui, si sa, non è un giornalista; non è un commentatore televisivo, non è un ex calciatore o un ex allenatore; non è un acuto osservatore, né un tuttologo profondo e intelligente, dotato di naturale obiettività e di acuto senso critico. Il tifoso fa il tifoso, è alla fine della catena alimentare come il plancton a mare e quindi ha poca voce in capitolo, anche perché non è che si
riconosca poi tanto nelle organizzazioni che asseriscono di rappresentare i supporters azzurri, troppo spesso protagoniste di
azioni violente o eccessivamente politiche. Il tifoso, ahilui, non
ha microfoni né megafoni; legge i giornali, segue i siti internet, va allo stadio e soffre davanti agli schermi, soprattutto ora che ci sono i Tg ventiquattro che, col sorriso sulle labbra, snocciolano senza soluzione di continuità acquisti e trattative roboanti. Degli altri.
Il tifoso non ha dormito granché. Lui del resto è solo quello che paga. Gli si dice, le rare volte che si trova a incontrare quelli
che contano nelle sale d’aspetto degli aeroporti, all’ingresso degli stadi o su Twitter, che lui è bravo solo a chiedere e a lamentarsi, che chiagne e fotte (chissà in quale posizione, peraltro), mentre dovrebbe tifare e tacere e continuare a pagare. Egli si intima, al tifoso, di non provarci nemmeno a criticare, perché poi, chissà perché, non si dovrà azzardare a salire sul carro del vincitore: una volta macchiatosi del terribile peccato, quello di non avere una fede cieca e incrollabile nei padroni del vapore, o di opinare sulle auguste scelte tecniche dei geni preposti a scegliere, perderà ogni diritto di gioire in caso di eventuale vittoria. Lui deve assolvere unicamente alla sua funzione, quella di pagare e di affollare spalti e salotti dove viene trasmessa l’agognata partita.
E il tifoso l’altra sera si è seduto buono buono davanti alla tele, a soffrire sperando in una vittoria che i valori tecnici in campo rendevano francamente più che possibile. Ha pagato di nuovo, il tifoso; sperando di potersi godere uno spettacolo vincente, o almeno interessante. Sapeva, il tifoso, che ciò che sperava avrebbe avuto i connotati dell’impresa: ma in fondo il calcio è una metafora dell’epica, e dove esistono le imprese se non
nell’epos? Invece, dopo qualche ora il tifoso si è ritrovato a
occhi spalancati a letto, a fissare il soffitto nel buio, chiedendosi una volta di più se vale poi la pena spendere tanti soldi e tanta pazienza, impegnare così gran parte del proprio tempo libero a discapito delle attività familiari, per poi trovarsi a gestire un mal di fegato e un senso di frustrazione così
pesante. Perché il tifoso si chiede come mai, se in tutto il
mondo i reduci del Mondiale giocano e vincono, solo i reduci azzurri siano fuori squadra per un millantato ritardo di condizione; e che tipo di superman sia Higuain, che ha giocato del Mondiale addirittura la finale e sia sembrato l’unico in forma in entrambi gli incontri.
Si chiede, il tifoso nella notte insonne, come mai una squadra dal valore quadruplo riesca a essere mortificata e umiliata, sia in
casa che fuori, da quella di valore inferiore; e per quale motivo si debba attendere le condizioni favorevoli di mercato per gli acquisti, cioè gli ultimi giorni, mentre per vendere (Reina, Behrami, Fernandez, ma anche Dzemaili e Pandev con la valigia
in mano e quindi inutilizzabili) si debba fare così in fretta. Il tifoso si domanda, col cuore gonfio di amarezza, quale sia il vero motivo per cui il Napoli, e solo il Napoli, abbia deciso di non fare mercato in entrata e di non completare il settore cosiddetto
nevralgico, il centrocampo; nel quale il perno fondamentale è diventato addirittura Gargano, gettato via per due anni consecutivi, così bravo da non essere riscattato né dall’Inter che pure aveva promesso di farlo né dal Parma, che con tutto il rispetto non è il Real Madrid; e che sia stato acquistato
tale De Guzman, il quale appena sedutosi in sala stampa ha affermato col sorriso sulle labbra di essere un trequartista ma di essere, ci mancherebbe altro, disposto a giocare anche in porta se glielo chiede Benitez.
Già: Benitez. Il tifoso si chiede, nella notte insonne, se non sia proprio la precarietà di questo tecnico che non rinnova il proprio contratto oltre un anno il vero problema. Se il presidente non sia reso cauto sul mercato proprio da questa ipotesi di mancata continuità, e abbia timore di acquistare i
trentenni che lo spagnolo vorrebbe e poi ritrovarseli con ricchi triennali sul groppone, mentre il loro mentore è partito per altri lidi perché non vuole rimanere per troppo tempo fuori dal giro che conta, e con un altro fallimento a sporcargli il palmarès. Magari, riflette il tifoso, il presidente vede Agger, Reina, Gonalons o chi per loro come i potenziali Rosati, Donadel e Britos, ancora a bordo campo a sgambettare felici in pettorina a un milione di euro all’anno, voluti da Mazzarri e ormai invendibili.
E se si addormenta per qualche ora, il tifoso sogna di essere tifoso di una squadra il cui presidente non pensi che l’imprenditore debba mirare solo all’utile di bilancio, ma anche alla crescita della suddetta impresa: e nel sogno, sogna di non essere tifoso dell’unica squadra al mondo che aderisce al fair play finanziario. Sono solo pochi sogni, e molto agitati. Perché
poi il tifoso si sveglia, tutto sudato, e pensa con tristezza a una stagione piena di partite del giovedì e ad altre di domenica in cui dovrà sentire, in conferenza stampa che i ragazzi erano stanchi. Stanchi morti. Ma non può dire nulla, il tifoso. Perché lui è il tifoso, e deve solo pagare e tacere.
FONTE Maurizio de Giovanni per Il Mattino