C’è un momento dell’anno passato in cui si capisce tutto. E’ il minuto 93 quanto José Maria Callejon sigla il 2-0 del Napoli contro l’Arsenal. Risultato inutile. Giusto il tempo di mettere la palla al centro del campo e la partita è finita.
L’applauso, però, era partito già prima della fine, già prima del 2-0 e del fischio dell’arbitro. L’applauso dei 50mila c’era già stato, nonostante la beffa atroce: uscire dalla Chamoions con 12 punti, da “primi nel girone”.
Insomma, c’era un tempo in cui – come si dice – si andava al di là del risultato. Sempre, comunque. Perché alla fine, anche se non vogliamo dircelo, contano molto le aspettative. Sono quelle a fare la differenza.
Sgobbare l’Europa League servirebbe davvero a poco. Meglio uno stadio semivuoto che supporta piuttosto che uno stadio pieno che contesta tutto e tutti. Perché se è vero che ognuno e libero di dire e fare ciò che vuole (nei limiti, ovvio), è pur vero che la squadra si sostiene. Sempre. Higuain, Hamsik, Mertens, lo stesso Gargano hanno dimostrato un attaccamento che è difficile da raccontare.
Ripartiamo da lì, ripartiamo da quell’applauso scrosciante, commovente, del San Paolo contro l’Arsenal. Dagli applausi di ieri e dai cori di chi ci credeva già da prima della partite, di chi ci crede da prima del mercato, da prima della disfatta col Bilbao, da chi ci crede da sempre. Perché se è vero che la Champions non rientra più nei nostri piani, è pur sempre valida la legge della fede, quella stessa fede che ti lega a una maglia, a una storia, a una tradizione di passione e di emozioni. Perché sono quelle, in fondo, che contano. Tu chiamale, se vuoi, emozioni.
Raffaele Nappi
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