Da Luca Antonini a Lorenzo Insigne, l’onere e l’onore di essere calciatori nel 2014

Chi non ha un figlio, un fratellino, un cuginetto o semplicemente conosce un bambino che abbia detto con fermezza e decisione: “Da grande voglio fare il calciatore”. E come dargli torto: una passione che diventa un lavoro fortemente remunerativo, che ti porta a girare il mondo, a diventare l’idolo delle masse, a conoscere bella gente, costantemente sotto le luci della ribalta, tra divertimento, soddisfazioni e lo sport più bello del mondo, il calcio. Poi c’è il risvolto della medaglia: il dover stare lontano da casa, dalla famiglia e dagli amici, sacrificarsi dieci mesi all’anno, incanalare energie fisiche e mentali per la propria squadra, non conoscere feste, vacanze, riposi, week end, combattere contro gli infortuni, il turn over, la panchina e forse anche la tribuna. Non è infatti tutto oro quello che luccica: nell’epoca del qualunquismo e della critica gratuita, “diventare un calciatore famoso” spesso è una vera condanna se non hai il carattere giusto per affrontarlo.

Capita infatti, che ti chiami Luca Antonini ed hai 32 anni. Giochi nel Genoa ormai da tempo, tutti ti rispettano perché ti fai volere bene, sei umile, semplice e bravo, senza grilli per la testa. Ma soprattutto dai tutto per la maglia rossoblù. Il destino decide di accanirsi nei confronti della tua città, presa di mira da un terribile nubifragio che la mette in ginocchio. Morti, dispersi, crolli: è una vera tragedia, un incubo. Serve aiuto, quello vero, non quello dello Stato che quando deve esserci non c’è mai. Ed allora ti metti una vecchia felpa, degli scarponcini e vai a spalare quel fango che invade le strade, come un cittadino qualsiasi, perché nonostante l’ingaggio e le luci della ribalta, è aiutare il prossimo che fa sentirti vivo. Ma non basta. La gente ti critica senza pietà: hai messo la maglia della squadra per fare pubblicità allo sponsor tecnico e farti riconoscere, sei sceso in strada per farti fotografare. Illazioni inimmaginabili solo perché sei “noto”, che farebbero venire la voglia di chiudere con quel mondo superficiale. Eppure, a testa altissima, non ti giustifichi ma ti spieghi, pronto ancora a fare del bene. Perché è questo il vero senso dello sport e del calcio.

Capita invece che nasci a Napoli e ti chiami Lorenzo Insigne. Hai un sogno nel cassetto: giocare con la squadra della tua città. Ti metti di impegno e non demordi, anche se sei bassino e gracile e tutti cercano altro. Ma tu credi in te stesso e vai vanti, contro tutte le critiche fino a quando non trovi qualcuno che crede in te. Poi un altro ed un altro ancora e finalmente arrivi a giocare nella tua vera casa, il “San Paolo” dove tutto può diventare realtà. Ti ritagli spazio, giochi tanto ed è un crescendo: aiuti i compagni a vincere una Coppa Italia con una splendida doppietta ma non basta. A volte ti fischiano perché provi sempre il tiro a giro. Ma sai che ti riesce bene e vuoi stupire, per loro, che come te vogliono riscattare sul campo anni di soprusi sportivi e sociali Ma quei fischi ti innervosiscono perché anche tu vuoi segnare, anche tu vuoi vincere e ci tieni a quella maglia, la tua maglia. Ma più ti innervosisci e più sbagli, più sbagli più ti fischiano. Non vuoi questo. Parli con il mister, ti calmi, lavori tanto. Ti rifugi ancora in chi crede in te: i tifosi che ti apprezzano, la famiglia, i compagni, la società. Alzi di nuovo la testa, verso quei fischi ma sbaglia ancora. Non demordi, ce la vuoi e puoi fare e finalmente li esorcizzi: la palla entra in rete, persino di testa. Corri, gridi, piangi. Lacrime di gioia, di tensione, di speranza, di amore. Pace è fatta: ma sai che è solo un nuovo punto di partenza perché, essere napoletani e giocare nel Napoli vuol dire anche questo, anche se hai 23 anni e dai sempre il massimo.

Potrei raccontarne tante altre di storie: qualcuna a lieto fine, altre meno belle. Ma, cari bambini, la morale è questa: se credete davvero in un sogno, non mollate. Credeteci, a testa alta, contro tutto e tutti. Ma sappiate che non sarà facile. Non è tutto denaro, scudetti e veline: il calcio è sacrificio, lavoro, umiltà e fame di fare bene, nel rispetto dell’avversario e dei propri limiti.

Alessia Bartiromo
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