Era tutto perfetto.
L’orario, la mancanza di traffico, il parcheggio vicino, la compagnia multiculturale. Con noi c’era perfino un tifoso del Parma. Avete presente la campagna “adotta il Parma cantando cori discriminatori”? Ecco, noi abbiamo preferito adottare direttamente un tifoso del Parma. Lui ha visto finalmente una partita senza temere di restare senza palloni, noi abbiamo solidarizzato in bestemmie.
Ma fino al 70°, ripeto, era tutto perfetto.
I posti scaramantici, il saluto al bibitaro “guaglio’ chi ‘o e’?”, nessuno aveva osato parlare di Torino e di Koulibaly, nessuno osava parlare del fatto che avessimo la Roma nel mirino.
C’era, certo, qualcosa di strano. Un oggetto non meglio identificato in campo durante il riscaldamento. Poi da un rapido movimento di gambe durante il torello, nostalgicamente a memoria dei tempi in cui le finte le faceva in partita, abbiamo capito che si trattava di Zuniga. In piedi. E questo rendeva, forse, ancora più perfetto il tutto.
La partita stava per cominciare, la mega busta di noccioline davanti a noi era quasi finita, il clima non era gelido, non c’era vento e prima di entrare avevo comprato le chewingum scaramantiche, una per il primo tempo e una per il secondo. La steward all’ingresso mi aveva tastato poco, giusto il tempo di guardarmi malissimo quando aveva toccato il fodero degli occhiali pensando che fosse un bazooka. L’ho rassicurata, ma non credo mi abbia creduto. Mi ha graziata. Insomma, era davvero tutto perfetto.
Gargano non c’è. Maggio non c’è. Britos non c’è. Callejon non c’è. E già da un po’. Enrique sulla fascia, Inler a centrocampo e Gabbiadini ancora fuori. Questo è un po’ meno perfetto, ma la partita la possiamo vincere.
La potremmo vincere.
L’avremmo potuta vincere.
E tutto ad un tratto non mi sembra più niente perfetto.
Il primo tempo divoriamo qualche goal. Troppi. Hamsik sbaglia qualche scelta di contropiede, Higuain sbaglia qualche scelta di tiro, noi non sbagliamo un colpo con le imprecazioni. E nel giorno in cui si festeggia la donna, mi sembra giusto che i pensieri siano tutti dedicati a loro: la mamma di Palacio, la nonna di Guarin, la moglie di Icardi, la compagna di Adamo. La curva sa come omaggiare tutte le donne del mondo, tutte accumunate dal mestiere più antico del mondo. Il secondo tempo comincia in completa discesa. Nel momento in cui, chi mi sta accanto, mi chiede se è il caso di dare ancora fiducia ad Hamsik, il capitano segna e dice di sì, immobilizzandosi sotto la curva a mo’ di monito. Se avessi avuto io il tempo di rispondere, avrei detto di no. Marek mi fa evitare tempestivamente una figuraccia.
La perfezione torna per un attimo con un goal di Higuain che qualcuno ha decantato come uno dei più belli a cui abbia mai assistito negli ultimi anni. Sono abbastanza d’accordo. Ho goduto come poche volte per un goal di siffatta bellezza. Ma ho imprecato come poche volte, subito dopo. Quando, praticamente, abbiamo deciso che poteva bastare, le gambe non ne avevano più, gli avversari erano ancora in campo, ma noi eravamo già andati via. Ed è stato quello il problema. Per questo Henrique ha deciso di andare direttamente nello spogliatoio. Toccava dare un segnale chiaro.
E allora, l’incubo. Ne segnano uno con tre tiri in porta, ne segnano un altro con un cucchiaio di veleno purgante. Palacio saluta la mamma, Icardi saluta la moglie. In curva si salutano tutte le meretrici di tutto il mondo.
Ci guardiamo in faccia sconsolati per un pareggio beffa che sa di sconfitta. Ancora una volta non ci avviciniamo alla Roma e ancora una volta si ha la sensazione che forse quel secondo posto non ce lo meritiamo granché.
Scuoto la testa, non ci posso pensare, torno a casa senza voler sentire interviste e commenti, ma proprio quando pensavo che fosse tutto perduto, mia madre mi accoglie a casa con i miei biscotti preferiti.
La perfezione, ancora una volta, devo cercarla fuori dal campo.