Anche se manca poco alla gara, forse decisiva per la stagione azzurra, contro la Lazio; nel caffè pomeridiano, è giusto approfondire la questione che ha portato alla squalifica di un turno della Curva Sud. Il Giudice Sportivo, ieri, ha annunciato il provvedimento in seguito all’ignobile striscione esposto da parte della tifoseria romana: una frase ignorante, senza senso e fonte di poca intelligenza – oltre che di poca umanità – da parte di molti cretini.
Una domanda però sorge spontanea e non fa riferimento alla stupidità del tifoso medio italiano, quanto a quella di chi deve giudicare e punire quest’ultimo. Ma davvero il dolore della famiglia Esposito, il dolore di una mamma che ha perso un figlio, vale una giornata di stop agli ingressi in Curva? La questione è molto delicata, sempre perché, stiamo continuando a parlare di un ragazzo la cui vita è stata strappata per la sola colpa di voler assistere ad una partita di pallone.
Le regole dall’anno scorso – quando anche dire “Napoli Colera” era reato – sono cambiate, però il metro di giudizio adottato per la punizione è assai rivedibile. “Scripta manent, verba volant” dice un classico latino. Ed allora perché per alcuni cori discriminanti sono stati chiusi stadi per giornate e giornate e per uno striscione violento si svolge solo il compitino per far vedere di essere severi, con la società colpita che fa vedere di essere scandalizzata?
A questa domanda non sapremo rispondere e forse tra qualche giorno tutti avranno dimenticato questa nuova pagina controversa di calcio italiano. Ma l’amaro in bocca rimane, visto che non si tratta, ed è bene ricordarlo, di una questione “napoletano contro romano” o “romano contro napoletano”, qui parliamo di giustizia e quando si discute di giustizia, il calcio, anche quello giocato, assume un secondo piano.