Napoli-Lazio ed una semplice risposta ad una semplice domanda…

E se la finale fosse Napoli-Juventus, ce la fanno giocare a Roma?

Qualcuno ha fatto questa domanda prima ancora che finisse l’altra semifinale, Fiorentina-Juventus. Qualcun altro ha risposto: “Sempre che ci andiamo in finale!”.

Ecco qua. Vuoi vedere che tutto ciò è avvenuto per togliere dall’impasse il prefetto di Roma e la sua incapacità di gestione dei grandi eventi sportivi? Può essere. O semplicemente abbiamo dimenticato come si vince. Come si gioca col sangue agli occhi. Come si segna un goal. E come si evitano le bestemmie.

Io, se vi devo dire la verità, tutta la sincera verità, non lo so perché in finale non ci siamo. O, meglio, non saprei da dove cominciare.

Partiamo dal principio. I prezzi popolari hanno richiamato un po’ di gente allo stadio. Scopro, una volta tornata a casa, che addirittura qualcuno ha avuto il biglietto come regalo di Pasqua. La domanda è lecita: gli sarà uscito dall’uovo?! Gente che fino all’altro ieri criticava me che criticavo chi criticava a prescindere. Insomma, uno di quelli che avrebbe fischiato anche per un tiro sbagliato nel riscaldamento. E’ tornato a casa addirittura lamentandosi del regalo ricevuto. Speriamo che almeno la cioccolata sia stata buona. Se non altro, forse, da adesso in poi, torna a preferire il divano al sediolino degli spalti, pure alquanto scomodi, tra l’altro.

Arriviamo al “San Paolo” abbastanza agevolmente, un po’ di traffico in tangenziale, un caffè prima di entrare, zero fila ai tornelli, un biglietto non controllato, uno zaino controllato facendo finta e spalti da riempire piano piano. Lo facciamo, salutando qualcuno che non si vedeva da un po’, qualcun altro sempre presente e il solito amico da Verona che il giorno dopo tornerà in treno, lanciando un pensierino dolce nella breve sosta a Roma Termini.

La partita comincia con pochi sussulti, ma con molte allegre chiacchierate. Tizi accanto a noi che di girarsi verso il campo e guardare la partita non ne volevano proprio sapere. Da far venire il nervoso anche al Mahatma Gandhi. Hanno smesso nel momento giusto. Giusto quel secondo prima che partisse l’invito gentile ad andare altrove. Un posto che qui non indicherò. Ma, solo per dare un indizio, è lo stesso in cui sarebbero andati in ordine tutti i giocatori del Napoli, allenatore compreso, di lì a 80 minuti circa. Si sarebbero ritrovati tutti in allegra compagnia.

La partita continua con pochi sussulti. Qualche occasione l’abbiamo noi, chiaramente sprecata. Qualcuna ce l’hanno loro, per fortuna sprecata. Il tizio alle mie spalle condiziona praticamente tutto il match di quello che crede sia Onazi, chiamandolo “testa a noce di cocco”. Da quel momento in poi, per noi non esisterà più Onazi. Solo “cap’a noce ‘e cocco”. Peccato che si trattasse, nello specifico, di Braafheid. Uno col nome così, in effetti, forse è meglio chiamarlo “cap’a noce ‘e cocco”.

Arriviamo agli ultimi dieci minuti e la partita ha un sussulto, ma non per noi. Loro segnano, noi bestemmiamo, imprechiamo e dedichiamo un pensiero ad ognuno dei giocatori in campo con la maglia jeans. Che poi mi dovranno dare spiegazioni pure sul perché abbiamo permesso a quelli della Lazio di indossare anche solo i pantaloncini del proprio colore, quando l’azzurro avremmo dovuto indossarlo noi, in casa nostra. Fosse stato anche solo per sfregio. Ma, ormai, si è capito. Questa squadra non ha più un briciolo di agonismo e competizione, nelle gambe e, soprattutto, nella testa. Un amico commenta che in altri tempi il Napoli,  in partite come questa, non avrebbe dato scampo agli avversari. E come dargli torto? Abbiamo visto la voglia di vincere solo negli ultimi minuti con Insigne a cui diamo il bentornato sull’erba del “San Paolo”. L’unico ad averci strappato un rammarico.

E allora tutto termina con una sconfitta. Amara. Tremenda. Più che inaspettata, temuta per le ripercussioni sul morale. Nostro, più che loro.

Mentre torniamo all’auto, cercando di dare un senso alla delusione, sento un bambino parlare con il papà e dire: “Ma questo Napoli perde sempre. Uffa!” Il padre cerca di sdrammatizzare e, probabilmente rifacendosi alla questione dello stadio e dei prezzi che richiama gente che di solito non ci va mai, gli raccomanda: “Però non dire che è colpa di mamma o di nonno che sono venuti a vedere la partita!” Ma il bimbetto lo spiazza con una saggezza disarmante: “No papà, il Napoli perde per colpa del Napoli!

Come diceva qualcuno :”Inchinatevi dinanzi alla grandezza dei bambini

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