Il declassamento di “Napule è”, una grossa occasione sprecata

A detta di molti, ieri a Fuorigrotta si è consumato il pomeriggio perfetto. Una vittoria, che di questi tempi non è merce così frequente, ma soprattutto una prestazione pienamente convincente. A fare da gradito contorno un sole caldo ed avvolgente sul San Paolo ad illuminare i volti ritornati sorridenti di gente come Hamsik e Callejon.

Non una sola nota fuori posto. O forse sì? I più attenti avranno certamente notato una novità nella scaletta musicale, chiamiamola così, che è solita accompagnare gli azzurri dal riscaldamento fino al fischio d’inizio. Una pratica comune, una sfumatura piacevole e per certi versi fine a se stessa ma che a Napoli riesce comunque a fare notizia.

Non è stata “Napule è” ad accompagnare i calciatori durante l’ingresso in campo delle due squadre. La società ha optato per una sterzata, un ritorno al recente passato. Ed ecco quindi la vecchia e cara “Go West”. E il grande classico di Pino Daniele? Vittima di una poco elegante retrocessione. Il capolavoro simbolo del cantautore partenopeo, infatti, è stato diffuso dagli altoparlanti circa una decina di minuti prima dell’inizio della partita.

E sì, capita anche questo, che un pezzo venga declassato in una scala di valori pattuita a tavolino. Non si fa fatica ad individuarne il motivo, seppur non appaia di certo edificante.

Che alla base della decisione ci sia la scaramanzia sembra scontato. Per quanto si voglia caricare la scelta di altri significati, sensati o meno. La società si è piegata al volere dei tifosi che nelle ultime settimane avevano espresso perplessità sull’utilizzo di questa canzone all’ingresso delle squadra, tacciandola di portare sventura. Gli stessi tifosi che ne chiesero a gran voce la promozione ad inno ufficiale subito dopo la tragica scomparsa della storica voce di Napoli.

“Essere superstiziosi è da ignoranti, non esserlo porta male”, sosteneva l’immenso Eduardo. Le tradizioni, il folkore, e le usanze tipiche partenopee rappresentano un bagaglio culturale immenso e da preservare, a patto che, però, esso non venga strumentalizzato. Anche il solo pensare che dietro ai risultati tutt’altro che esaltanti raccolti dalla squadra di Benitez nell’ultimo periodo ci possa essere una canzone è paradossale. Ma è ciò che in molti hanno sostenuto e continuano a sostenere.

“Napule è” è tante cose: una denuncia, un grido forte, una poesia d’amore squarciata a metà dalla sofferenza ma curata dalla speranza. È l’inno di un popolo, di una città, è un modo d’essere. Che non sia propriamente un inno da stadio? È possibile. Ma come in tutte le cose in cui sono in gioco emotività e sentimenti, la sfera soggettiva prende il sopravvento. Chi lo decide se una canzone è adatta allo stadio o meno?

“Non è energica, non trasmette carica, non dà adrenalina. È troppo melodica”. Sono pensieri che tutti abbiamo sentito almeno una volta in questi mesi. Come se il presupposto per un buon inno fosse solamente la carica agonistica. “You’ll never walk alone”, ad esempio, è lontano dall’essere un pezzo energico e vigoroso dal punto di vista musicale. Non è certo la canzone che si inserisce nella playlist workout quando si va in palestra. È decisamente melodica,  ma è comunque l’inno più celebre della storia del calcio. Non è nata come canzone da stadio, lo è diventata. E lo è diventata perché ogni tifoso del Liverpool l’ha caricata di significati intrinsechi, passionali e la canta con trasporto ad ogni partita.

Allora forse occorre fare un grosso mea culpa, non solo da parte della società che ha deciso in balia del momento e probabilmente senza tanta convinzione, ma da parte di tutti coloro che animano abitualmente il San Paolo. “Napule è” non sarà nata come inno, ma di sicuro non si è stati capaci di renderla tale, prima acclamandola e poi rinnegandola. Si sarebbe potuta istituire una tradizione, creare un binomio indissolubile e invece il tutto appare come una grossa occasione sprecata. Perché può anche restare sulla carta l’inno del Napoli, ma la scelta di non volerla più all’ingresso delle compagini sul prato resta un dettaglio non trascurabile.

E allora battiamoci sempre il petto, ostentando a destra e a manca una napoletanità mai realmente messa in atto e accontentiamoci di (non) essere rappresentati dalla prima canzone motivazionale di turno.

Antonio Allard (Twitter: @antonioallard1)

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