Un risveglio amaro, sconfortante. Un sogno chiamato Varsavia sfumato sotto la pioggia torrenziale che ha reso l’Oliympisky di Kiev il campo di battaglia adatto al piglio, alla voglia di azzannare quella finale di una Dnipro battagliera. Una vittoria, quella dei ragazzi di Makevyc tratteggiata dalla voglia di chi veramente era mosso dal furore, dalla voglia di scrivere la storia non solo di una società, ma di un’intera Nazione falcidiata da una sanguinosa guerra civile.
Nel calcio, come nella vita, le vittorie e i risultati riescono a nascondere quei nodi che, dinanzi a debacle inaspettate, finiscono per giungere definitivamente al pettine. Forte è l’aria di fine ciclo che si respira in riva al Golfo, ma ridurre tutto ad una serie di errori della gestione tecnica sarebbe oltre modo riduttivo. La campagna di rafforzamento, ad eccezione dell’encomiabile colpo Gabbiadini, è stata senza alcun dubbio rivedibile, poco adatta a fornire il supporto, tecnico più che numerico, adatto ad un gruppo che terminerà la stagione con quasi 60 gare ad altissimo livello nelle gambe.
Ma se le sessioni di mercato in tono minore rappresentano un peccato originale assodato, la pesante – e rumorosa – assenza del presidente Aurelio De Laurentiis sugli spalti ad assistere ad un evento storico, ad un passo da una finale europea che mancava da 26 anni, ha riaperto un ulteriore, mai chiuso, fronte di discussione.
Lecito che il patron azzurro possa essere oberato da altri impegni, da problematiche di qualsiasi sorta, ma quel vuoto a Kiev rappresenta un simbolo, il simbolo di una società che ormai da troppi anni, dall’addio di Pierpaolo Marino, vive della luce riflessa di un singolo uomo: il patron azzurro. Riccardo Bigon, dirigente serio e coadiuvato da un ottimo scouting, come unico referente tecnico, minimo contraltare in una struttura dirigenziale contraddistinta dalla strabordante presenza del presidente partenopeo. Un Re Sole alle pendici del Vesuvio, così lo definimmo in tempi non sospetti(leggi qui), e a distanza di mesi tutto sembra sempre più incastonato nell’inconfutabile realtà.
Una società che vuole ambire ad assestarsi nell’elite del calcio europeo, agguantare a grandi falcate gradini e posizioni tra i club più prestigiosi del Vecchio Continente, non può, non deve, essere limitata nell’affidare tutta la gestione tecnica alla volontà dei tecnici alla guida della squadra, così è accaduto con Mazzarri e poi con Benitez. Una società strutturata, con uomini di calcio dalla competenza e dall’esperienza assodata, in grado di tracciare una linea continua sulle scelte dirigenziali, è un elemento imprescindibile per garantire al Napoli quello step definitivo verso i piani alti.
Dal 2004 la gestione De Laurentiis è stata impeccabile, illuminata, dai campi polverosi della Serie C ad una competitività sempre più assidua in tutte le competizioni, battagliando quest’anno fino a maggio inoltrato su più fronti. Ora, però, alle porte di un ennesimo rinnovamento, qualcosa è giusto che cambi, e non solo in panchina. Era il luglio dello scorso anno quando Conte abbandonava in corsa la Juventus, dalle parti di Vinovo Marotta ed il suo staff non hanno battuto ciglio, costruendo una stagione da applausi, forse a Castel Volturno è arrivato il tempo di prendere appunti.
Edoardo Brancaccio
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