Sulla pista di Napoli, nell’estate 2013, un allenatore dal curriculum d’oro raccoglieva un testimone che, secondo molti, tra i tanti difetti mancava di un alto profilo internazionale e troppe bandierine italiane incollate su.
La staffetta sembrava vinta in partenza e il primo tratto di corsa non fu neanche deludente.
Ma i veri campioni li puoi conoscere solo sulla lunga distanza.
Rafa Benitez ha fallito e, ove possibile, ha distrutto tutto ciò che era stato fatto di buono nei metri precedenti, in un progetto che da anni aveva sempre corso con gli occhi rivolti verso l’alto.
“La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare“.
Aurelio De Laurentiis scelse un allenatore che, nell’immaginario collettivo, avrebbe dovuto far compiere l’ultimo salto vincente: Scudetto e crescita in Europa, cominciando un processo di internazionalizzazione prima mancante. Sul piatto un ingaggio molto ricco e carta bianca – o quasi – sul mercato.
E’ su quel “quasi” che oggi si appoggiano tutti i critici del Presidente del Napoli. E’ su tutto il resto che trovano forza gli incubi – divenuti realtà – di tutti i detrattori di Rafa Benitez.
La stagione ormai all’epilogo lascia delle cicatrici senza precedenti: una squadra senza anima, capace di ripetere sempre gli stessi errori in fase difensiva, aggrappatasi alle tre competizioni soltanto grazie al valore dei propri attaccanti. Il Napoli ha tradito i suoi tifosi ed è stato umiliato in troppe occasioni, contro nemici storici come Verona e Juventus, con la complementarità di vergognose disfatte come quella di Empoli, Palermo, Torino e Kiev, con la cervellotica voglia di sorprendere sempre e comunque tutti con la scelta di formazioni che definire inadeguate sarebbe un eufemismo.
Anche la gestione dei propri calciatori, non di primissimo livello ma probabilmente, complessivamente, neanche da quarto posto, ha lasciato non poche falle: Rafael ostentato in campo nonostante errori su errori e una mancanza di lucidità palesemente mostrata partita dopo partita; Koulibaly onnipresente nell’inizio stagione e poi, con eccessivo disincanto, messo fuori dopo i primi errori. Strinic, arrivato come la risoluzione all’eterno problema della fascia sinistra, e finito prestissimo nel dimenticatoio del tecnico spagnolo. Duvan Zapata lasciato fuori sia nella trasferta contro il Dnipro che contro la Juventus, proprio quando sarebbe servito un attaccante supplementare a gara in corso.
Ma il vero epic fail è stato commesso con le stelle, Marek Hamsik, Jose Maria Callejon e Gonzalo Higuain, gestiti diversamente ma in maniera errata tutti e tre.
In mezzo a tutto questo, continue polemiche con gli arbitri, mancanze di rispetto verso la stampa ed alcuni giornalisti: tutto per distogliere, sempre e comunque, l’attenzione dai veri problemi da cercarsi nella gestione di uno spogliatoio sfuggito di mano. Ed anche l’unica cosa che aveva partorito i suoi frutti positivi, il ritiro imposto dal Presidente, è passata sotto l’attenta lente di giudizio di Rafa Benitez etichettandola obsoleta ed appartenente a un calcio passato.
Internazionalizzazione significava forse fallire l’approdo alla Champions League per due stagioni di seguito, lì dove addirittura Mazzarri e una rosa dall’ingaggio medio lontanissimo dall’attuale c’erano riusciti?
A questo punto ridateci la provincia, i calciatori che sudano la maglia in campo e che non regalano partite intere agli avversari, toglieteci i superingaggi e ridateci l’anima. Quella che quest’anno abbiamo perso tutti. Insieme alla dignità e al senso di appartenenza ad una maglia che storicamente ci ha sempre resi fieri di combattere.
Non abbiamo mai chiesto di vincere anche se per altri “è l’unica cosa che conta“.
Antonio Manzo