Juventus Stadium come l’Oliympisky di Kiev, come l‘Olimpico di Roma. Juventus, Dnipro e Roma, tre sconfitte pesanti, che hanno sancito punti perentori e dolenti sulla stagione partenopea. Tre gare dall’importanza assoluta, unite da un comune denominatore che non può che far storcere il naso: azzurri sconfitti con il proprio capitano, Marek Hamsik, ad osservare dalla panchina il calcio d’inizio. Venti minuti a Torino, poco più di mezz’ora a Kiev, addirittura tutto l’incontro ad assistere alla sconfitta dei propri compagni firmata da Pjanic contro i giallorossi.
La gestione del capitano partenopeo, che ha comunque vissuto – tra alti e bassi – una delle migliori stagioni in carriera, fatta di 13 goal e 16 assist, rappresenta uno dei maggiori controsensi dell’annata di Rafa Benitez. Tecnico di immenso spessore ed esperienza, che però nel suo biennio in riva al Golfo non ha lesinato dal palesare incongruenze e paletti troppo difficili da sradicare, anche a dispetto delle tante difficoltà incontrate in un cammino spesso tortuoso, accidentato.
“Que en abril riega en mayo siega”. “Sfruttare la rosa per non arrivare morti alla spiaggia”. Principi ineluttabili del maestro spagnolo che hanno senza alcun dubbio contraddistinto l’annata del numero 17 partenopeo, meno quella di altri elementi come Callejon, Albiol, lo stesso Higuain, arrivati praticamente sulle gambe in un rush finale che doveva essere giostrato al massimo dell’intensità. Ben quindici le partite in cui Hamsik è stato sostituito, quattordici le gare in cui è partito fuori dall’undici titolare. Un Napoli che ha molte volte usufruito di un capitano a mezzo servizio, talvolta limitato dalla gestione dello spagnolo. Aggravanti per una squadra che con continuità, esulando dall’aspetto tecnico o tattico, ha mostrato evidenti limiti dal punto di vista della personalità. Un appunto che risuona, roboante, sullo sfondo. Un po’ come quel: “Mi ha deluso” di papà Hamsik, Richard, a campeggiare sul sito ufficiale dello slovacco nel post Dnipro-Napoli.
Edoardo Brancaccio