Napoli, il finale non giustifica il “mezzo”: Allan e Jorginho da rivedere, ma sprazzi di Hamsik confortano

Alla fine? Sorrisoni per tutti. Anche perché c’erano tante ragioni per uscire felici dagli spogliatoio dell’Atleti Azzurri d’Italia. In primis, la reazione dell’intera squadra: vogliosa, compatta. Ma soprattutto cinica e determinata. E poi c’era una storia da riscattare, una rivalità da rinsaldare. Ed un cammino glorioso solo da continuare.
Tre reti, una vittoria meritata ampiamente – anche in inferiorità numerica – ed un Higuain da impazzire. Peccato che…

SOFFERENZA – Cosa? No, no: nulla di clamoroso. Peccato solo che lì, in mezzo al campo, qualcuno abbia sofferto un po’. Un po’ più del solito, ecco. Ma non per una mancanza particolare, e neanche tanto per cattivi filtri o per assenza di garra. Quanto per una pura e semplice questione tattica. Sì, se con qualcuno occorre prendersela, allora l’ingrato “incarico” spetta a quel diabolico maestro di Edy Reja. Come al solito, meravigliosamente impeccabile: perché la mette sul ritmo e sulla pressione, quindi sulla forza bruta che serve a sprigionare un’Atalanta quadrata e dinamica. Perché chiude gli spazi e la fantasia partenopea, imbarazzando il centrocampo napoletano con l’arma apparentemente più semplice e scontata di tutte: l’agonismo.

ALTRO ALLAN – Un termine non proprio sconosciuto da queste parti: Sarri ci ha costruito attorno un reparto intero, salvo quindi completarlo con la qualità e la costanza di cui il Napoli necessitava. Il bel gioco di quest’inizio di stagione? Solo la naturale, naturalissima, conseguenza di un centrocampo in versione “risolutore“: è che sa dare manforte davanti quando il traffico s’addensa nell’area di rigore, ma allo stesso tempo sbarra porte agli avversari come se non ci fosse un domani. Il vero perno, manco a dirlo, è quella trottola brasiliana arrivata in estate dall’Udinese: che se non gira lui, i partenopei fanno più fatica. Vedi il blitz di Bergamo: arrivato, sì. Però senza il suo vero comandante. E senza i suoi filtri, la sua interdizione, il suo essere ovunque.

IL JORGINHO FURIOSO – Ah, anche senza Jorginho. Ma no, l’espulsione c’entra davvero relativamente. In fondo, per spiegarlo bastano anche semplici numeri: quattro palle perse, un solo tackle vinto e due ammonizioni in tre minuti. Male, decisamente. Almeno è arrivato l’assist, il primo da calcio da fermo: poi però è mancato il resto. Stanchezza o semplice giornata storta? Come sempre, la verità sta nel mezzo. E Jorginho, alla fine, può partire col suo carico di rimpianti: perché da giocatore con più tocchi al pallone della gara, non è mai stato capace di architettare una manovra offensiva. Chissà, forse il nervosismo era dettato anche dall’insofferenza del match in sé.

SPRAZZI DI CAPITANO – Zero dubbi, invece, sul volto di Hamsik: quello era tutto per il secondo rigore calciato alle stelle. Vecchi e poco dolci ricordi: ma non per questo da cancellare. Anzi: il Marek di Bergamo – o almeno quello del secondo tempo – è piaciuto per carattere e coraggio. Da capitano. Da leader. Da uomo in più: non solo della mediana, ma della squadra intera. Una prestazione che ha molti punti in comune con la sua prima marcatura in campionato: undici metri di speranza, passati dalla paura dei soliti fantasmi, alla gioia dell’ennesima prima volta. Ogni tanto, in fondo, c’è anche bisogno che una “traversa” la butti dentro. Chiamasi karma.

Cristiano Corbo

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