Nove anni, nove stagioni in prima linea, sul pezzo. Dalla presentazione – in coppia con uno che un segno, in azzurro l’ha lasciato, eccome: Ezequiel Lavezzi – di quel ragazzo in bermuda ed infradito, timido ma entusiasta della nuova avventura alle porte dopo i lampi di Brescia, di acqua sotto i ponti ne è passata, copiosa, sferzante. Senza intaccarne le solide fondamenta, roccia solidissima, impermeabile a contingenze ed eventi. Tanto è cambiato dall’estate del 2007, ma lui, Marek Hamsik, no. Una certezza scolpita nel percorso di un giovane ventenne dal talento scrutato a fondo da Pierpaolo Marino, a Brescia per scandagliare Omar Milanetto ma rimasto folgorato dalle doti del centrocampista scuola Slovan Bratislava. Che a Napoli è maturato, come calciatore e come uomo, messo radici e costruito una famiglia, in simbiosi con il suo percorso da campione. Un rapporto a doppio filo, Hamsik, Napoli ed il Napoli, permeato negli anni e diventato inscindibile.
Il percorso. Ben 398 gettoni in azzurro come seguito all’esordio in un caldo pomeriggio di fine agosto contro il Cagliari. Staccato Moreno Ferrario – fermo a 396 – nel mirino due totem della storia partenopea: Giuseppe Bruscolotti e Antonio Juliano. Il Cagliari come prologo, l’amaro ritorno in massima serie per gli uomini di Edy Reja, sconfitti alla prima ma nelle giocate di quel numero 17, sempre pronto a gettarsi negli spazi e fermato solo dagli interventi di Fortin la stoffa era già lampante al primo sguardo. Sensazioni rafforzate dal tempo, gara dopo gara, tra uno spunto tra le linee e una bordata dal limite. Destro, sinistro, perché no anche di testa, unico nel suo genere. Quante gioie per il pubblico partenopeo griffate Marek Hamsik: 97 reti distribuite tra Serie A, Champions League, Europa League e Coppa Italia. Ad un’incollatura da José Altafini, quinto marcatore nella storia del club. E i momenti, quelli indimenticabili, impressi per sempre: dalla serpentina da antologia per il primo goal in maglia azzurra, contro la Sampdoria, la doppietta di Torino trascinando i partenopei di Walter Mazzarri alla prima – e ultima da allora – vittoria in terra bianconera dopo vent’anni. Il primo goal in Champions contro il Villareal, la firma in calce al primo titolo dal dopo Diego nella finale di Coppa Italia sempre con i bianconeri nel destino. E i titoli da capitano, con quella fascia al braccio raccolta con fierezza dopo l’addio di Paolo Cannavaro, Roma – nella serata della gioia mista al dolore – e Doha come momenti custoditi con gelosia nel dolce scrigno dei ricordi e delle soddisfazioni, issando orgoglioso al cielo il frutto di sacrifici e lavoro. Le critiche, anche quelle, mai tenere nei suoi confronti. Talvolta discontinuo, costretto a migliorare, sempre, perché nei confronti di un giocatore cresciuto con paragoni importanti – da Gerrard a Lampard massime espressioni nel ruolo – i giudizi non possono mai essere leggeri. Da Hamsik ci si attende il guizzo decisivo, la capacità di trascinare i compagni. Gol pesanti ma non solo, visione di gioco negli spazi, propensione per l’assist mai nascosta. Ruolo accresciuto a modellato da Maurizio Sarri, di nuovo al centro del progetto, protagonista nel suo ruolo naturale, a metà campo. Prima fonte di gioco offensiva, vero, ma spendendosi a tutto campo, trovando la piena dimensione. Un percorso meraviglioso ma allo stesso tempo arduo, condito da qualche dubbio, come la tentazione Milan nell’estate del 2011. Raiola ed il dubbio che s’insinua, ma scacciato in fretta, Napoli più del semplice destino, una scelta di vita.
Traguardo e prospettive. Il capitano azzurro all’Olimpico contro la Roma timbrerà la presenza numero 400 con la maglia del Napoli. Nota speciale nella gara decisiva, faccia a faccia con la diretta concorrente per la seconda piazza e la possibilità – due risultati su tre a favore degli azzurri – di chiudere ogni discorso a doppia mandata. E poi c’è un altro traguardo, ad oggi ancora solo sfiorato, raggiungere quota 81 reti in Serie A con la maglia azzurra, appaiandosi al Re, non uno qualunque. Ed il cruccio della doppia cifra, sono 7 le reti stagionali, da raggiungere. Più di un’abitudine, nelle ultima otto stagioni sfuggita solo nella stagione 2013-2014, la prima di Benitez alle pendici del Vesuvio. Ultimi, avvincenti, scampoli di stagione, trampolino verso un futuro a tinte sempre più azzurre. Quel “The Champions” da ritrovare, insieme a qualche brivido, e un guanto di sfida per il titolo che non resterà di certo sepolto sotto il sogno solo sfiorato quest’anno per poche giornate. Un futuro in riva al Golfo da costruire e programmare, tassello dopo tassello, bruciando ogni record. Il rinnovo solo una formalità per questo napoletano venuto dall’Est, monumento della storia azzurra.
Edoardo Brancaccio