Omicidio Esposito, De Santis: “Ho sparato per difendermi, non sono un mostro. Mica sono Rambo!”

Hanno iniziato a picchiarmi, non so per quanto tempo. Ho provato a muovermi ma sono ricaduto e in quell’attimo ho visto uno di loro, il loro capo, una persona alta e grossa più di me, che si avvicinava a me con una pistola in mano girata dalla parte del calcio. Gli ultras non usano le pistole. Mi ha colpito alla testa con l’arma e io, con la forza della disperazione, gli ho agganciato il braccio e sono riuscito a disarmarlo. Non so come ho fatto, probabilmente mi ha aiutato il fatto che faccio karate da quando sono piccolo. A quel punto, quando ho sentito di avere la pistola in mano, ho sparato”. Sono agghiaccianti le parole di Daniele De Santis, condannato a 26 anni di carcere per l’omicidio di Ciro Esposito avvenuto nel maggio 2014. L’ultras della Roma ha ricostruito la vicenda davanti ai Pm e Il Tempo riporta oggi le sue dichiarazioni.

“Non ho visto dove sparavo, ero una maschera di sangue. Mi hanno quasi ammazzato e ho molta rabbia dentro perché per due anni tutti mi hanno dipinto come un mostro e io non sono un mostro. Non sapevo di avere colpito qualcuno. Poi mi hanno picchiato di nuovo e sono svenuto. Solo dopo ho saputo di Ciro Esposito; penso sempre a quello che è successo e mi dispiace per la sua morte”, racconta l’imputato durante l’udienza.

De Santis, dopo aver affermato di aver aperto il fuoco per legittima difesa, ha negato di aver assalito i pullman dei tifosi azzurri. “Quel giorno mi sono svegliato verso le 12. A casa mia c’erano due ragazze che avevano passato la notte con me e continuavano a dormire. Sono uscito fuori a giocare con i cani e poi sono andato al bar a mangiare qualcosa. Poi sono tornato a casa e solo qualche ora dopo sono uscito di nuovo per andare a comprare dei panini alle ragazze. Quando sono uscito la seconda volta mi sono accorto subito che a Tor di Quinto era scoppiato il casino. Da casa mia si vedevano i fumoni e si sentiva un gran chiasso. Io di stadi ne mastico, e ho capito subito di cosa si trattasse. Allora sono andato verso il cancello dal lato del Ciak Village per chiuderlo. A terra era pieno di fumogeni, pietre e altro e io ho raccolto un paio di fumoni e li ho ritirati indietro”.

“Non mi sono mai mosso dal cancello – continua – la strada stava a trenta metri e da dove stavo io ho iniziato a fare gesti ai pullman per farli spostare da quella zona perché erano pieni di tifosi e nel circolo sportivo dove faccio il guardiano c’erano le partite dei più piccoli ed era pieno di bambini. Ma che so’ Rambo io, che me metto a assalì n’autobus da solo? Io ero solo quel giorno e quando ho capito che le cose stavano peggiorando ho provato a richiudere il cancello, ma mi avevano già accerchiato e, quando mi sono voltato, ho preso una bastonata e due coltellate e sono caduto. Io non avevo capito chi fossero: per me potevano essere fiorentini o cinesi, solo dopo ho saputo che erano napoletani. Hanno iniziato a picchiarmi, non so per quanto tempo”.

Vane le sue parole per la Corte D’Assise di Roma: De Santis è colpevole e sconterà la lunga pena.

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