Rieccoli, un quarto di secolo dopo (o poco meno). All’epoca fu quasi un passaggio del testimone: dalla Juve al Napoli, da Platini a Maradona. Ora appare come una sostituzione di protagonisti: nell’anno in cui Milan e Inter raggiungono il minimo storico, due punti in due, dopo un trentennio (ma si tratta di dati sempre molto relativi visto che siamo ad appena 180 minuti dal fischio d’avvio della stagione), tornano d’attualità club che avevano vissuto le ultime vicende calcistiche in posizioni meno privilegiate. Juventus e Napoli: il fascino antico di una sfida di vertice che riaffiora dai ricordi, foto in bianco e nero che improvvisamente prendono tutti i colori dell’arcobaleno. Il campionato che ci aveva abituato alla sfide sull’asse Milano- Roma o Milano-Milano, sembra cambiare direzione: Sud-Nord Ovest. C’è qualcosa di epico nel confronto tra Juventus e Napoli. E ci sono storie che oggi appaiono di un altro mondo, di un altro universo, personaggi indimenticabili che hanno fatto la storia dei club, che hanno incrociato la storia dei club. Da Dino Zoff che passò dal Napoli alla Juve a Omar Sivori che, invece, si trasferì da Torino a Napoli.
BEFFA –Josè Altafini risalì la penisola, da Napoli a Torino per gli ultimi spiccioli di una carriera formidabile: Campione del Mondo col Brasile (per i suoi connazionali era « Mazzola » , anzi « Masola » in onore del grande Valentino), trionfatore in Coppa dei Campioni con il Milan (segnò nella finale col Benfica dopo essersi divorato alcune clamorose palle- gol), quindi a Napoli nella speranza di stabilizzare il club nelle posizioni di vertice che una città appassionata reclamava. Vestì i panni della nemesi storica nella prima vera sfida- scudetto consumata su quell’asse geografico- sportivo. Nacque lì, in quel giorno di aprile (precisamente il 6) di trentasei anni fa la leggenda del «core ‘ngrato». Era il Napoli di Luis Vinicio, una squadra che si ispirava al calcio olandese a quei tempi felicemente di moda (l’anno prima, la finale Mondiale vinta, però, dalla Germania). Allo scontro- diretto al vecchio Comunale (adesso l’Olimpico) i ragazzi di Vinicio arrivarono con appena due punti di scarto in classifica, cioè lo spazio di una vittoria. Una vittoria che Clerici e Bruscolotti, Burgnich e Juliano inseguirono con determinazione e scarsa fortuna. Segnò Causio, pareggiò Juliano. Poi al 30′ del secondo tempo entrò (come sempre accadeva), Altafini. E a due minuti dal termine arrivò il gol che diede lo scudetto a una Juve che stava aprendo un ciclo straordinario grazie a gente come Scirea (appena acquistato) e Gentile (appena promosso titolare). Era arrivato pure Zoff mentre nel Napoli c’era Pietro Carmignani detto «Gedeone»: la Juve quattro anni prima gli aveva messo tra le mani il suo futuro, lui se lo lasciò scivolare tra le mani insiemea un innocuo cross di Domenghini. Fu spedito a Napoli e Super-Dino, in cambio, salì a Torino.
DECLINO – Ci sono gol che restano nella storia del calcio: per la loro bellezza e per il loro significato. Quello che Diego Armando Maradona segnò in un pomeriggio di novembre di ventisei anni fa al San Paolo fu un affresco, un capolavoro, una intuizione geniale che folgorò Tacconi. Punizione da posizione impossibile, traiettoria al limite dell’umana comprensione, ben oltre le normali leggi della dinamica. Lì cominciò il declino di quella Juventus che da un decennio dominava il calcio italiano (da quello spareggiocol Napoli al Comunale, da quel gol di Altafini). I bianconeri vinsero lo scudetto, ma a partire da quella punizione la squadra di Trapattoni non fu più l’armata invincibile delle settimane, dei mesi e degli anni precedenti. Rischiò di perdere il titolo sotto il peso dell’arrembante rimonta della Roma di Sven Goran Eriksson. Lo perse, effettivamente, l’anno dopo, l’ultimo di Michel Platini. Aveva illuminato un’epoca del calcio italiano il ragazzo di Joeuf figlio di emigranti venuti da Novara. Lo vinse il Napoli ispirato da un altro numero «10», un argentino di Lanùs: Diego Armando Maradona.
Fonte: Corriere dello Sport