Errare è prerogativa degli umani. Non sempre una vergogna, anzi. A volte si manifesta come un vero e proprio bisogno. Addirittura, secondo alcuni studi medici, un sistema confezionato con lo scopo di cancellare ogni traccia d’errore è destinato miseramente a fallire. Su un rettangolo verde una distrazione può incidere sull’esito di una gara, se non compromettere l’andamento di una stagione. Ecco perché vanno valutate circostanze, cause scatenanti e possibili conseguenze. All’ombra del Vesuvio lo sbaglio del singolo è in linea di massima all’ordine del giorno. Ogni volta, puntualmente, le investigazioni si sprecano così come le eventuali terapie d’urto. Ma come un qualsiasi sismografo, pur essendo in perenne allerta, non riescono mai a prevenire con esattezza il prossimo harakiri. Perché?
Napoli ha la peculiarità di rendere ogni ostacolo una grana irrisolvibile. È uno degli aspetti più ambigui di questa città. Passeranno gli anni, cambieranno gli allenatori. Ma quei blackout da film horror che vanificano in 10 minuti la tessitura di un’intera partita proprio non si possono debellare. Le disattenzioni della retroguardia, con gentile interscambiabilità dei ruoli, si ripetono ciclicamente ed azzerano in pochi secondi i mille piccoli passi compiuti. Kalidou Koulibaly è uno di quei casi al centro di studi professionali. Un ottimo calciatore, osannato da richieste plurimilionarie e complimenti a grappoli, che spesso non riesce a far convivere autostima ed umiltà. Questo conflitto infinito, trasformandosi in irriverente sufficienza, sfocia purtroppo in figuracce che oggettivamente non meriterebbe. Una sorta di supponenza della quale soffre l’intera rosa, più diffusamente dovuta ad improvvisi cali di concentrazione. Il massimo livello di attenzione è roba da 32esimo piano dei grattacieli calcistici. Un’altezza a cui gli azzurri aspirano ormai da diversi anni. Ma dovranno arrivarci senza ascensore. E senza leader.
Il dispendio di energie fisiche e mentali in corrispondenza degli impegni Champions è tangibile. Basti alzare lo sguardo e scavalcare la Manica, la favola Leicester fornisce interessanti risposte. Un inizio di campionato altalenante mentre si viaggia spediti in Europa (a punteggio pieno e con zero reti subite). L’incapacità di adattamento alla doppia competizione, per chi non possiede le armi dell’esperienza, è graduale e talvolta doloroso. La banda di Sarri vive lo stesso enigma, considerando i tanti esordienti ad altissimi livelli. Il mister lo ha definito “appagamento” quello osservato dopo il Benfica. Inconsapevole ovviamente, ma quasi fisiologico. L’abbassamento della guardia, però, si può pagare carissimo. Mantenere la concentrazione al 120% in ogni occasione è, anche a detta del buon Ranieri, un’impresa piuttosto ardua. E il condottiero seduto in panchina, quello in tuta e con gli occhiali, è al debutto in battaglie con questa conformazione.
Dunque l’errore individuale, prima a Bergamo e poi sabato scorso, è risultato determinante nell’andamento degli ultimi due match con nessun punto all’attivo. Eppure agli sbagli si rimedia o quanto meno appaiono facilmente perseguibili. Ciò che invece preoccupa è un’improvvisa mancanza di equilibrio denotata dalla creatura sarriana. L’allenatore toscano ha curato meticolosamente i dettagli tattici sin dalle prime giornate della scorsa stagione. Perché è proprio lì, nella sapiente difesa del proprio fortino, il passo decisivo verso il successo. L’assenza di Higuain ha stravolto un po’ i piani: gli esterni d’attaco si stringono per aiutare il centravanti di turno, ma così facendo faticano a coprire le corsie di competenza. Ed ecco che spesso si creano voragini sulle fasce che i soli terzini non possono tamponare. A ciò va aggiunta la forma precaria di Jorginho, collante in fase di costruzione nonché in quella d’interdizione. Piccole differenze che creano sfilacciamenti e condizionano l’armonia di uno spartito che appariva pressochè perfetto.
Bene, non sarà perfetto. Ma l’equilibrio da recuperare in campo va preteso anche fuori. Dal miglior gioco d’Europa a catino di raccolta di casi spinosi e acquisti estivi dimenticati in armadio durante il cambio stagione sembra come al solito un balzo un po’ eccessivo. La fiducia e l’entusiasmo non devono essere scalfiti. In quest’ottica l’ottenimento di un traguardo storico stasera contro il Besiktas sarebbe un’iniezione intramuscolare di adrenalina. D’altro canto, parliamoci chiaro, utilizzare l’infortunio di Milik come alibi sarebbe un imperdonabile segno di debolezza. Alla stregua di quanto accadde nell’era Benitez dopo l’infortunio di Insigne a Firenze. Questa squadra, a differenza di allora, è programmata per autoalimentarsi e ha certezze identitarie a forma di ancora. È in quelle che occorre perseverare. Perché si affonderà ancora, tutti insieme. E certamente si tornerà a galla, tutti insieme. Sbagliando s’impara.
Ivan De Vita
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