“Il ragazzo è sereno ed ha fatto anche un gran gol: il quarto stagionale, ad inizio novembre. Per me sta dando tanto. Mi dite che la critica sottolinea certe sue prestazioni nelle cosiddette gare che contano, ma io non sento ciò che si dice in giro. Da allenatore, sono felice di quello che ricevo da Marek”. Maurizio Sarri è felice al termine dei novanta di gioco della Vodafone Arena, in particolare dell’apporto del suo capitano. Il Napoli avrebbe meritato di più ma il calcio è anche questo, in riva al Golfo ultimamente è la prassi. Poco male se nella trasferta più complessa del girone, almeno a livello ambientale, c’è poi Marek Hamsik a togliere il gruppo dai tizzoni ardenti. La beffa ad un tiro di schioppo, una gara dominata, lezioni impartite in serie ad un avversario inferiore sotto numerosi aspetti, il rischio di complicare il girone in maniera irreversibile. Tutto accantonato da quel mancino che l’estremo difensore dei turchi, Fabri, stavolta può solo accompagnare con lo sguardo.
Potenza ed effetto, una parabola tratteggiata con il pennello. Un eurogol dei suoi e l’infuocato catino turco già pronto a regalarsi una nuova impresa zittito. Pasta da capitano, Marek, capitano coraggioso che stavolta la barca la conduce in porto, senza danni. Era la sua serata, l’ennesima serata da ricordare: presenza numero 60 in Europa, un solco a separare il classe ’87 di Banska Bystryka da chiunque altro. E perla numero 15 nel Vecchio Continente, ormai ad un passo un altro record, quello di Edinson Cavani fermo a 19 centri. Un ruggito incontenibile al minuto 82′, l’unica risposta alle critiche piovute su di lui a margine della sconfitta di Torino. Poca personalità, capitano non coraggioso, scomparso al cospetto degli avversari in bianconero. Una prestazione insufficiente, vero, ma calcare la mano non avvalora una tesi, sfocia solo in ingiustificato accanimento. Tanto è stato detto ma lui, in fondo, è abituato. Lo è fin dall’estate del 2007, o poco dopo, da quando fu subito chiaro a tutti che quel ragazzo prelevato con sagacia da Pierpaolo Marino era a tutti gli effetti un predestinato, un giocatore che in azzurro avrebbe scritto la storia.
I paragoni ingombranti sono ormai il passato, ma l’esigenza nei suoi confronti non è di certo mutata, anzi è accresciuta. Gara dopo gara, record dopo record, con quella fascia portata orgogliosamente al braccio che spesso può diventare fardello. Oneri e onori, lo si è sempre detto. Marek come certezza, qualunque sia il tecnico che diriga i lavori alle pendici del Vesuvio. Tra i primi da ammonire nel caso le prestazioni disattendano le sempre onerose richieste. Guarda e passa, Hamsik. E mette in campo tutto ciò che ha. Sapienza tattica, tanta, e quella capacità di calciare che non si acquisisce in allenamento. Destro e sinistro, in egual misura, ed il mancino che brilla nella notte di Istanbul è un colpo che vale il prezzo del biglietto. Una bordata da Champions, la gioia, il ruggito e la mano sul cuore. Sarri non ascolta ciò che si dice in giro, Marek sì, e risponde a modo. Quattro goal in stagione, già agli inizi di novembre, solo l’inizio da cui partire. Un anno ancora da protagonista da costruire, rialzandosi e cadendo ancora, forse, ma sempre con lo stesso spirito. Per poi tornare. Perché il capitano azzurro è questo, nei suoi pregi – tanti – e nei suoi difetti. Sprazzi di discontinuità valgono un capitano così, in fondo.
Edoardo Brancaccio