Torniamo lì. Al punto di partenza. Laddove tutto era iniziato. Come quando girovaghi in un luogo sconosciuto senza navigatore e ti ritrovi puntualmente davanti allo stesso edificio. Torniamo all’Arena. La Dacia, precisamente, quella di Udine. Quella dove otto mesi fa i nostri sogni scudetto si infrangevano contro le assatanate maglie bianconere. Quella dove Higuain cadde per la prima volta. Ma la via crucis era appena agli esordi. Un tonfo totale che avrebbe dovuto lasciare il segno. Eppure oggi, guardandosi allo specchio, le impronte di quel pomeriggio nefasto sono ancora fin troppo visibili.
In terra friulana le battute d’arresto scottanti, almeno nell’era De Laurentiis, sono state numerose. E di solito il capro espiatorio della nostra rabbia era Totò Di Natale. Il 3 aprile scorso, invece, è bastato un Bruno Fernandes qualsiasi e una squadra tenacemente operaia per frantumare il giocattolo Sarri costruito con tanta cura. La pressione estenuante di una Juventus in costante fuga aveva minato i nervi dei calciatori per troppe settimane e un crollo innanzitutto psicologico era prevedibile. Ma contro il coriaceo collettivo di De Canio il Napoli ha ceduto il passo proprio come gruppo, fattore determinante della passata stagione azzurra. Squadra lunghissima e sgretolati i meccanismi difensivi, con la seconda retroguardia meno battuta del campionato a concedere palle gol a grappoli come mai accaduto prima di allora.
Una fatica immane a riconoscere la creatura di Sarri. Beh, volgendo lo sguardo ai giorni nostri, quei campanelli d’allarme non hanno suscitato il giusto rimedio. A Udine, come a Bologna o a Milano contro l’Inter, il lato oscuro dell’armata partenopea era venuto a galla prepotentemente. Quanto è stata profonda l’analisi di quelle debacle? Si è fatto tesoro di quegli errori? Le tante reti di Higuain prima e di Milik poi sono state una colpevole benda. La bellezza della sinfonia sarriana, la sua ingente produzione offensiva, ha sempre coperto magagne mai ritenute seriamente pericolose. All’improvviso, con qualche ingranaggio non perfettamente funzionante, quelle lacune si sono ritrovate orfane di tappabuchi. E quella solida cerniera a quattro di appena un anno fa si è sbrindellata come in uno spogliarello del celebre “The Full Monty”.
Chiudete gli occhi. La topica del portiere (Gabriel, nella fattispecie) sul raddoppio dell’Udinese, i sanguinosi strafalcioni in area di Ghoulam e Koulibaly, la reazione spropositata del nostro uomo-gol. L’incubo Dacia Arena sembra essersi perpetrato nei mesi raggiungendo la spiaggia 2016/2017 come un’onda anomala, travolgendo chiunque non l’avesse prevista. Prima delle mancanze tattiche, allo stato attuale è certamente la scarsa vena dei singoli a provocare voragini nella casella delle reti subite. Se Koulibaly alterna picchi altissimi a rovinose cadute all’interno della stessa gara, sono troppe le distrazioni con protagonisti Ghoulam e Reina. Con Albiol fuori per infortunio (e a quanto pare finalmente al rientro), si è persa una guida equilibrata e anche Hysaj pare ne abbia risentito. Senza contare l’inspiegabile involuzione di Jorginho, metronomo in affanno senza il quale ogni misura pare completamente sballata.
Prima di svenarsi alla ricerca di un attaccante per gennaio, il Napoli deve sfogliare l’album di un anno fa e ripescare la foto di sé stesso. Affascinante, giovane ed ambizioso. Non hai più la barba curata, né tantomeno le 36 pepite d’oro appese al collo. Ma ha un cervello pensante e la consapevolezza di aver accumulato la giusta esperienza. Il colpo è stato duro, ma è ora di rimettersi in forze. La memoria, col tempo, tornerà. Il primo appuntamento per la terapia d’urto è fissato per sabato pomeriggio.
Ivan De Vita
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