Nemmeno gli epinici più gloriosi avrebbero potuto celebrare a dovere un 1-7 di proporzioni così mastodontiche. Neppure i versi dei poeti più illustri avrebbero saputo dipingere metaforicamente il quadro di una prestazione così perfetta. Perché, in fin dei conti, il dubbio che fosse solo un sogno persiste. Eppure no, Bologna-Napoli non è esistita soltanto nella dimensione onirica di ogni tifoso del Napoli. No, è realtà tangibile, seppur neanche lontanamente immaginabile. E sì, è reale anche la tripletta (la seconda, in mezzo c’è un poker) di Dries Mertens. Così come quella di Hamsik, sia chiaro. Sì, è tutto reale e forse Bacchilide e Pindaro un epinicio a questo Napoli e ai suoi due singoli l’avrebbero dedicato davvero.
Questo post in breve
DRIES MERTENS E IL RUOLO DI FALSO NOVE
Perché il canto del trionfo, Dries Mertens, se lo merita più di tutti. Un po’ per i goal, un po’ per l’importanza che ha all’interno del Napoli. Lo score è insindacabile: 16 goal, come nessuno in questa Serie A. E lui, a differenza di un signore con la maglia bianconera numero 9, non è stato pagato 90 milioni. 10, 12 con i bonus, nel lontano 2013. Come ala, però, ruolo che ha effettivamente svolto fino allo scorso autunno.
È capitato che, sfortunatamente, Milik si sia infortunato a danze appena iniziate. E in un bel giorno ottobrino Mertens s’è ritrovato catapultato al centro dell’attacco. “Falso nueve“, si diceva. Tridente leggero, la definizione di Sarri. La scalata per ottenere certezze non è stata semplice. Agli esordi Dries ha pagato l’assenza di fisico e centimetri, ha pesato su di lui il gioco del Napoli impostato per Milik. Un unico corpo (la squadra di Sarri) ha dovuto variare il suo modo di pensare in funzione del suo numero 14.
IL CAMBIAMENTO DEL NAPOLI
Il ruolo del centravanti è entrato a Mertens nelle vene, s’è poi stampato sulla pelle. È parte di lui, ormai. È stato bravo a crederci Sarri, nonostante i mugugni della piazza per mancati risultati e prestazioni. Era il periodo nero, quello della Roma, del Besiktas e della Juventus. Tre sconfitte che avrebbero potuto pesare tantissimo sul prosieguo della stagione. E invece no, ha pesato di più l’ambientamento di Mertens. Ha tastato l’acqua, ci ha sguazzato un po’ prima di tuffarsi interamente. Merito a Sarri sì, ma merito a un ragazzo che alla soglia dei trent’anni ha imparato a svolgere nuove mansioni. La vita, d’altronde, è un continuo apprendimento.
E così il Napoli s’è trasformato: via i cross, quelli per Milik. Sì alle verticalizzazioni, ai fraseggi nello stretto, alle ali che vanno a cento all’ora e si avvicinano maggiormente al centravanti. D’altronde uno come Mertens non va lasciato solo. Insigne ha alzato il suo score (ora è a quota 7, il primo è arrivato a novembre), Callejon ha continuato a pungere in zona goal. Altra nota: Lorenzo ha modificato il suo modo di fraseggiare, spesso quando Hamsik gioca nel mezzo per impostare lui si allarga per dare ampiezza alla manovra e fornire uno scarico al capitano. E Callejon ha trovato una variante alle sue incursioni: quella di allargarsi e tentare il cross, invece di puntare dritto alla porta. Poesia e pensiero in movimento. No, non si finisce mai di apprendere e di scoprire nuovi modi di concepire il calcio.
I NUMERI DI DRIES MERTENS
16 goal per Mertens in campionato, ben 20 nella globalità della stagione. 13 nelle ultime otto di campionato, due triplette e un poker: fenomenale. La partita con il Bologna, per l’appunto, mostra un’ulteriore evoluzione nel Dries-pensiero. Callejon, d’altronde, si è fatto espellere alla mezzora, ha perso il senno come i mitologici Orlando e Aiace. E allora Mertens si è dovuto adattare, come ormai è abituato a fare. Malleabile e duttile, questo numero 14.
E con Insigne impegnato ad oscillare tra la linea dei centrocampisti e il supporto da trequartista, Dries s’è trovato a ricoprire un appezzamento di terreno ben più vasto del solito. L’ha fatto alla grande, a tutto campo. Maietta e Oikonomou hanno provato ad incollarsi su di lui come piovre, Dries si è divincolato alla grandissima. Ha tenuto palla, fatto salire la squadra, affondato e colpito. E… segnato. Ben tre reti, da fuoriclasse su punizione, da rapace d’area con tanto di dribbling a Mirante, da solista con uno slalom e una conclusione che ha trafitto il subentrato Da Costa. L’assist ad Hamsik è la ciliegina su una torta gustosissima.
LA PARTITA DI MERTENS
La heat-map, poi, mostra la zona di campo su cui si è dovuto muovere: a ridosso dei sedici metri, trequartista di se stesso. Ma anche sul centro destra e centro sinistra. In un settore limitato (rispetto a dove ha agito Insigne), ma con una grossa efficacia. 48 tocchi hanno caratterizzato la sua prestazione: lottare contro i due centrali e soprattutto temporeggiare in solitudine in attesa di scarichi non deve essere stato un mestiere facile.
E insomma sì, Mertens ha imparato a fare il centravanti. Non a “buttare il pallone in rete”, ma a lavorare come un 9 (e un falso 9) moderno. Con movimenti volti ad andare in rete ma anche a smarcare i compagni, ad aprire spazi. Lavora per sé, per il goal, e al tempo stesso per la squadra. Da gregario e da fuoriclasse. Con la giocata pragmatica e quella di fino. Essere Dries Mertens, capire Dries Mertens, è un’impresa ardua nell’imprevedibilità di questo folletto tuttofare. Ecco perché meriterebbe un epinicio. Il pallone, nel frattempo, l’ha già portato a casa.
Vittorio Perrone (@pervi97)
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